Fare argine

Giorgio Vasta, Il tempo materiale, Minimum Fax

La tua immaginazione produce disfacimento, aggiunge.
Non è vero.
Sì che è vero. Perché sei come me: cerchi la lotta.
Stiamo accanto e non ci guardiamo; lui nel nido, io vicino al cespuglio.
Sei attratto dalla distruzione, continua.
Non è vero, ripeto.
Allora perché non hai mai immaginato che dal tuo filo spinato potesse generarsi un’infezione buona?
L’infezione non può essere buona, dico subito.
Mentre se ne sta zitto, le piume scagliose che nel respiro gli si sollevano sul petto e si riabbassano, so che non ho ragione ma devo fare argine, prendere tempo.
Nimbo, mi dice passando a una tonalità più alta, ed è la prima volta che qualcuno mi chiama così. Tu sei venuto qui a cercare il sesso e la lotta, continua. Per te sesso e lotta sono l’unica infezione possibile, l’unica direzione nella quale muoversi.

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Enfasi

Giorgio Vasta, Il tempo materiale, Minimum Fax

Dopo la quinta ora facciamo la strada insieme. Scarmiglia sta zitto, Bocca discute, io rispondo. Parliamo ancora dei comunicati, della loro lingua. Bocca ne è conquistato, gli piace l’enfasi, le loro frasi precise e feroci.
Lo ascolto, ci penso, mi rendo conto che se anche ne avverto la fascinazione nella loro lingua c’è qualcosa che qualcosa che mi mette in imbarazzo, una pena per il dogmatismo imparaticcio, per l’enfasi puerile. Eppure io per primo sono enfatico. Non posso non esserlo perché so, come lo sanno le Br, che l’enfasi è l’unico modo per accedere alla visione, alla profezia della storia. Certo, si diventa ridicoli, ma non ci sono alternative: tra l’ironia e il ridicolo scelgo il ridicolo.

Giorgio Vasta, Il tempo materiale

Contro l’ironia

Giorgio Vasta, Il tempo materiale, Minimum Fax

In questa polaroid siamo tutti ironici. E a me l’ironia fa male. Anzi, la odio. Non solo io, anche Scarmiglia e Bocca. Perché ce n’è sempre di più, troppa, la nuova ironia italiana che brilla su tutti i musi, in tutte le frasi, che ogni giorno lotta contro l’ideologia, le divora la testa, e in pochi anni dell’ideologia non resterà più niente, l’ironia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta, la nostra camicia di forza, e staremo tutti nella stessa accordatura ironico-cinica, nel disincanto, prevedendo perfettamente le modalità di innesco della battuta, la tempistica migliore, lo smorzamento improvviso che lascia declinare l’allusione, sempre partecipi e assenti, acutissimi e corrotti: rassegnati.

Giorgio Vasta, Il tempo materiale

Lasciarsi fare

Simone Weil, L'ombra e la grazia, BompianiNon si può far nulla, assolutamente nulla, per coloro il cui Io è morto. Ma non si sa mai, in un essere umano determinato, se l’Io è morto o solo inanimato. Se non è morto, l’amore può rianimarlo, come se lo pungesse, ma solo l’amore completamente puro, senza la minima traccia di condiscendenza, perché la minima sfumatura di disprezzo precipita verso la morte.
Quando l’Io è ferito dall’esterno, per prima cosa si rivolta con estrema amarezza, come un animale che si dibatte. Ma quando l’Io è quasi morto, desidera esser finito e si lascia venir meno. Se allora l’amore lo risveglia, è un acutissimo dolore che genera ira contro chi l’ha provocato. Da ciò, negli essere degradati, le reazioni (apparentemente inspiegabili) di vendetta contro chi ha fatto loro del bene.
Accade anche che in colui che fa del bene l’amore non sia puro. Allora l’Io risvegliato dall’amore, ricevendo subito, dal disprezzo, una nuova ferita, provoca l’odio più amaro, odio legittimo.
In chi, invece, l’Io è totalmente morto, non c’è nessun imbarazzo per l’amore di cui è fatto oggetto. Si lascia fare; come i cani e i gatti che ricevono nutrimento, calore, e carezze e, come quelli, è avido di riceverne il più possibile. Secondo i casi, si affeziona come un cane o si lascia fare, con una specie di indifferenza, come un gatto. Beve senza il minimo scrupolo tutta l’energia di chiunque si occupi di lui.
Disgraziatamente, ogni opera caritatevole rischia di avere come clienti una maggioranza di persone senza scrupoli o, soprattutto, esseri in cui l’Io è stato ucciso.

Simone Weil, L’ombra e la grazia