Girato al contrario

Un estratto da La seconda persona di Demetrio Paolin:

Demetrio Paolin, La seconda personaIl caffè nella macchina sale e copre il rumore dell’acqua. Sei circondato dall’acqua, lui è in bagno a farsi la doccia e fuori piove. Tu abiti in un bel quartiere, ti dici mentre guardi dalla finestra con la tazzina in mano. Il rosso dei coppi, le antenne e i balconi che ti circondano hanno assunto le sembianze di persone care. Parli ai tetti, ai lampioni e alle vie come da piccolo facevi con le macchine e i robot. A loro ti rivolgi quando un incubo ti spaventa e ti svegli nel pieno della notte. Anche ora cerchi in questi pezzi di città incarnata una possibile soluzione a quello che è successo.
Lui si è alzato e ti ha detto: ora ci vuole una bella doccia. Non ha aggiunto altro, come se fosse un fantasma o un automa con la sua faccia e le sue sembianze. Credi sia tutto dovuto alla pioggia – che batte con ritmo ineguale, che senti scrosciare dalle grondaie, che picchietta sugli ombrelli delle persone, che sembra ti entri dentro, fin nell’intimo.
Ma non lava, questo pensi; questa pioggia non lava niente, non pulisce, anzi, complica le cose. È la disperazione delle madri che devono pulire i pavimenti, la noia di chi è in giro per lavoro o per compere e deve trovare un posto dove stare finché non spiove. Acqua che non lava, ma anzi sporca – sorta di universo capovolto. Quello che è accaduto ha messo a soqquadro il mondo, lo ha girato al contrario: lo storto s’è raddrizzato, il dritto curvato e la pioggia non ha purificato ma reso lercio tutto.

Ora l’aria rinfresca subito e si fa buio immediato.
Tu continui a bere il caffè. È un normale sabato in Italia e hai la televisione accesa. Sei ancora incantato da questo spettacolo, che ti viene da riflettere su come il mondo si pieghi ai tuoi processi interni, su come si faccia gretto, meschino e ti somigli. Ambiguo come ogni tuo gesto, dove si confondono piacere e dolore. L’oggetto di tutto questo dolore e piacere si friziona con forza la schiena e non sa di esserne causa. La sua innocenza, ti dici, consiste nell’essere idiota rispetto al male che fa, e quindi felice.
Mentre sei alle prese con le piccole interferenze che la tua testa produce, dalla tivù accesa, come sempre, su un canale a caso senti queste parole: Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo. Ti giri a guardare bene chi sta dicendo queste cose. È un uomo, un frate, e le pronuncia sorridendo, quasi per lui fossero normali e consuete. Continua: Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna? Ora sei vicino al televisore, dell’uomo vedi i rapidi movimenti delle mani, il fare bonario e la gestualità aperta di chi non ha nulla da nascondere. Non avresti mai creduto che l’inquisitore si sarebbe mostrato a te in queste forme, ma poi lo senti pronunciare le ultime frasi: Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo… Hai chiaro che questo frate si sta rivolgendo a te.
Spegni la televisione, prima che possa ancora parlarti.
Il silenzio perfetto della casa è solo acqua. Niente di ciò che è fuori di te può esserti male. Non il mondo, non lui di là. È quello che sei tu nel tuo intimo che è male, ciò che tu sei è male, ma non puoi essere che così, quindi è giusto che tu sia male. Se da te escono fornicazioni, adulteri, cupidigie e malvagità è perché tu sei cosi: è bene che tu sia come sei stato creato. Sei il risultato di un progetto, sia esso di dio o della natura: dentro di te c’è il male e quindi è bene che tu sia male.
Ora ti immagini dietro le telecamere di uno dei tanti reality televisivi. Una persona dice: «Io sono me stessa, sempre. Io sono così. Vera.» E tu domandi: «Quindi se uno nasce assassino, è giusto che lo rimanga?»
Se è importante, necessario essere se stessi, è giusto che un assassino lo sia fino in fondo, spingendo all’estremo le sue attitudini per non tradire ciò che è. Quindi ognuno deve accettare ciò che è, e se è malvagio è bene che lui lo sia, perché quella è la sua natura. Noi d’altronde siamo figli di questo progresso, discendenti di una stirpe omicida e costruttrice di città – di cui la fabbrica, che sta poco lontana da qui, è il risultato ultimo.
In quel momento, il telefono suona.
«Pronto? Papà ciao.»
«Luca, tutto bene?»
«Abbastanza, tu?»
«Bene, Bene.»
«Sicuro? Non si direbbe.»
«Vuoi saperlo meglio di me? Dov’è tuo fratello?»
«Mica ce l’ho in custodia.»
«È in città, me lo ha detto, e quando viene qui si ferma da te.»
«Sì» sorridi con una punta di amaro, «è sotto la doccia un attimo, vedo se ha finito e te lo passo.»
«No, no aspetta. Digli soltanto che l’ho cercato e che lo chiamo più tardi.»
«Va bene papà, glielo dico.»
«Senti… la prossima settimana vieni?»
«Certo. Non ti preoccupare.»
«Ciao allora.»
«Ciao.»
Vai verso il bagno, bussi alla porta. Damiano sta pettinandosi i capelli. C’è ancora il vapore dell’acqua, fa caldo e ti senti opprimere.
«Chi era al telefono?»
«Niente, era papà.»
«Cosa voleva?»
«Voleva sapere dov’eri. Ha detto che ti chiamerà più tardi.»
«Bene, lo sentiremo più tardi.»
Damiano si gira e ti dà le spalle. Tu vedi all’altezza della scapola destra un segno, che sotto la doccia non si vedeva, un marchio distinto sulla pelle arrossata. In forma di un arco, o meglio: un’arcata. Una curva rossastra, vorresti avvicinarvi la bocca per verificare che combacino i denti col segno, come in un calco. Ma non ne hai bisogno – lo sai già che combaciano, perfettamente.

Demetrio Paolin, La seconda persona