E io oggi pago il fottuto viaggio di Ulisse

È uscito Funambole di Isabel Farah (Marco Del Bucchia Editore).
Sedici monologhi: Medea, Penelope, Arianna, Clitennestra, Leda, Filomela, Egle, Giocasta, Ersilia, Andromaca, Euridice, Frine, Ermione, Rossane, un’amazzone, Antigone.
Un estratto da “Medea” è stato pubblicato ieri su Scrittori Precari.
Qui sotto pubblico “Penelope” in versione integrale.

Funambole di Isabel Farah si può ordinare da qui.

Penelope

Isabel Farah - FunamboleNemmeno un angolo in cui poter liberamente urlare dentro. Osservarmi spegnermi, regalarmi un funerale interiore degno dell’amore che mi voglio. Stipata in un tavolo perennemente troppo piccolo; respiri di troppo inondano l’aria. Il tempo, il tempo, il tempo di osservare i movimenti frenetici e senza senso del respiro del mio cuore, di me, del mondo che sono io, stando ai filtri.
Nemmeno il tempo per rimproverarmi dell’odio dilatato che provo ora, nemmeno lo spazio per ricordarmi che devo stendermi e che mai devo diventare nera. Nemmeno il buio per potere piangere la mia era, la mia personale era: a Penelope non viene dato lo spazio per dire a Ulisse che non sarà lei a pagare l’angoscia del suo viaggio. Penelope paga, e basta. Omero ha deciso così; Omero e Ulisse. E dio e l’uomo. E il creatore e il primo creato. Privilegiato. E la donna. E io. E Penelope. E Penelope, che non ha nemmeno la facoltà di odiare, che non ha nemmeno il coltello di Clitennestra, che non scopa come Elena, che non punisce ciecamente: che non è Medea.

Chiudi la porta. Portati via la porta. Non respirare più. Se vorrai morire, non avvisarmi.

Continua a leggere questo post

Solaristica (outro)

Stanislaw Lem, Solaris

«Nello sbocciare, evolversi, allargarsi di questa creatura viva, in ogni singolo atto e nei suoi movimenti complessi si manifestava, come avevo sperimentato, una ingenuità cauta ma non selvatica, quando si abbandonava a cercare rapidamente di conoscere, di capire la forma nuova e inattesa; e quando con rincrescimento doveva ritirarsi, non oltrepassava i limiti imposti da una legge misteriosa. Quale contrasto inesprimibile fra quella curiosità agile e quella massa che raggiungeva tutti i punti dell’orizzonte! Non ne avevo mai sentito così acutamente la presenza immane che, nel suo silenzio potente e assoluto, respirava regolarmente con le onde. Con lo sguardo fisso, immobile, affondavo in un cerchio apparentemente inaccessibile e, nella crescente intensità dell’abbandono di me stesso, m’identificavo con il cieco colosso liquido come se, senza il minimo sforzo, senza parole, senza un pensiero avessi perdonato tutto.

Continua a leggere questo post

Solaristica (4)

Stanislaw Lem, Solaris

«A mio parere, Gibarian aveva ragione nel giudicare che l’argomentazione sbrigativa di Muntius fosse di un madornale semplicismo, avendo trascurato di considerare ciò che nella solaristica era tutt’altro che elemento di fede, poiché i lavori instancabilmente perseguiti prendevano in considerazione solo la realtà materiale di un globo che girava intorno a due soli.
Nel libro di Muntius era inserito, piegato in due, un estratto molto ingiallito della rassegna trimestrale Parerga Solariana, uno dei primi lavori di Gibarian, di quando non aveva ancora assunto la direzione dell’Istituto. Al titolo, Perché sono solarista, seguiva succintamente, quasi alla maniera di un promemoria, un elenco dei fenomeni concreti che suffragavano l’esistenza di reali possibilità di contatto. Gibarian era appartenuto a quell’ultima generazione di studiosi che avevano avuto il coraggio di riallacciarsi all’ottimismo della prima età d’oro e che quindi non avevano rinnegato una fede che specificamente oltrepassava i confini limitati della scienza, ma fede dichiaratamente materiale, poiché credeva al successo di sforzi perseveranti e dinamici.

Continua a leggere questo post

Solaristica (3)

Stanislaw Lem, Solaris

«Un altro volumetto rilegato in pelle si era infilato fra le annate dell’Almanacco. Prima di aprirlo rimasi un po’ a rimirarne la copertina rovinata. Era un vecchio libro, Introduzione alla solaristica di Muntius; ricordavo ancora la notte di sonno che mi aveva sottratto, il sorriso di Gibarian nel darmelo, il giorno terrestre che albeggiava dietro i vetri della mia finestra quando ero giunto alla parola “fine”. “La solaristica” scriveva Muntius “è un succedaneo di religione dell’era cosmica, una fede che riveste i panni della scienza; il Contatto, suo fine supremo, è altrettanto oscuro e nebuloso quanto la Comunione dei Santi o la venuta del Messia. L’esplorazione pone in atto un sistema liturgico sotto la forma metodologica; l’umile laboriosità dei ricercatori è l’attesa di un Avvento, di un’Annunciazione, poiché tra Solaris e la Terra non esistono né possono esistere ponti. Ma questa verità evidente, come altre, come l’assenza di esperienze in comune e di concetti comunicabili, viene respinta dai solaristi nel modo in cui i credenti ricusano qualsiasi argomento che mini le basi della loro fede.

Continua a leggere questo post

Solaristica (2)

Stanislaw Lem, Solaris

«Risoltosi in fiasco completo ogni tentativo di mantenere in vita, sia pure allo stato vegetativo e ibernante, una qualsiasi parte grande o piccola del mostro separata dal suo organismo planetario, nacque la convinzione (sviluppata dalla scuola di Meunier e Proroch) che per risolvere il mistero esistesse una sola strada: trovare la chiave giusta d’interpretazione, che avrebbe chiarito tutto…
Alla ricerca di questa chiave, di questa pietra filosofale solaristica, si era gettata con grande spreco di tempo e di energia una quantità di gente digiuna di studi. Il numero di menti malate, estranee all’ambiente scientifico, che si davano alla speculazione – maniaci che per fanatismo nulla avevano da invidiare ai ricercatori del moto perpetuo o della quadratura del cerchio – si moltiplicò come per il propagarsi di un’epidemia, tanto che se ne occupò anche la psicologia. Questa fiammata, tuttavia, si estinse nel giro di alcuni anni e all’epoca in cui mi preparavo a partire per Solaris non se ne parlava più, né sui giornali né nelle conversazioni, come non si parlava più, in genere, della questione dell’oceano.

Continua a leggere questo post

Solaristica (1)

Stanislaw Lem, Solaris

«Nella prefazione Gravinski divideva in periodi i sessant’anni iniziali di attività solaristica. Durante il primo, che cominciava con la ricognizione preliminare di Solaris, nessuno aveva formulato esplicitamente ipotesi. Sulla base del “buonsenso”, si riteneva allora, intuitivamente, che l’oceano fosse un conglomerato chimico senza vita, un’immane massa gelatinosa che circondava il globo, che produceva per attività “quasi vulcanica” creazioni stupefacenti e che stabilizzava la propria orbita instabile in virtù di un processo meccanico autogeno, così come il pendolo, una volta messo in moto, mantiene immutato il proprio piano di oscillazione. A dire il vero, già poco tempo dopo Magenon aveva fatto cenno alla natura di essere vivente della “macchina colloidale”; ma Gravinski faceva cominciare il periodo delle ipotesi biologiche nove anni dopo, quando il parere di Magenon, precedentemente disatteso, cominciava ad avere numerosi seguaci. Gli anni successivi avevano conosciuto un’intensa fioritura di interpretazioni teoriche dell’oceano vivente suffragate daanalisi biomatematiche. Il terzo periodo era quello del marasma delle opinioni scientifiche, fino ad allora più o meno unanimi.

Continua a leggere questo post

Tu sei un altro

Sabato alle 16.30 alla Biblioteca San Giovanni, a Pesaro, Demetrio Paolin e io presentiamo La seconda persona, poi Demetrio legge un inedito, o forse due.

Questo invece viene da La seconda persona:

Demetrio Paolin, La seconda personaTu non parli mai veramente con nessuno. Tu sei un altro, l’altro te: il fantasma, quello che nutre le parole, che tradisce e scopa con chiunque, che piange e muore ogni volta. E se risorge è solo per scherno. Tu sei il compagno grigio pallido come l’inverno sfinito, quello violento, colui che non ama teneramente, ma possiede, che impone il suo seme alla gente, che lo espone alla terra.
Tu non sei quello che ci si aspetta da te.
Chissà cosa si aspettava, tua madre. Quale segreto teneva nel cuore nei pomeriggi davanti al sussidiario? Non eri tu, ma sembrava normale, per una donna, figliare. Ecco, ti penti di non averglielo mai chiesto, di non averle mai detto: ma tu che figlio pensavi di avere?
Forse voleva un figlio diverso, opposto a quello che sei tu. È questa stoffa di delusione, mai detta, che lega te e tua madre: il non essere stato mai quello che lei desiderava. È cretina questa cosa, ma ti rimane nella gola: non sei mai quello che gli altri vogliono per te, e viceversa, tu sei sempre altro rispetto a quello che sei veramente. Chiunque si attende da te una determinata cosa, tua madre, tuo padre, tua sorella, la persona che ami, e tu non sai chi sei veramente: c’è il tuo fantasma, che se ne esce come un fiotto di notte, e provoca danni e ferisce. E nei loro occhi vedi quello che non sei. Tu gli vorresti cantare: mi fa disperare il pensiero di te e di me che non so darti di più. È in questa mancanza che tu esisti, è solo nel tuo non-essere-niente-di-quello-che-loro-vogliono che puoi essere.

Qui si può leggere un altro estratto dallo stesso libro.

Nicola Ciccoli su Dreadlock

Scrive Nicola Chik67 Ciccoli su Anobii a proposito di Dreadlock:

Giulio Giordano, Dreadlock
Dreadlock visto da Giulio Giordano

Credo che sia istintivo pensare che questo racconto lungo sia, in qualche misura, già un fumetto. Scritto in parte come una sceneggiatura, per scene corte che sono già immagine o gruppo di immagini, con un’attenzione spasmodica alle inquadrature, ai punti di vista, spesso sghembi, con dialoghi incastonati tra cambi di macchina da presa. Un fumetto di supereroi in salsa italiana, anzi in salsa studenti fuorisede a Bologna, una cosa che a me gela sempre il sangue, convinto come sono che non si possa raccontare nulla in maniera significativa ambientandolo in quel contesto.
Però, superato lo sconcerto per l’ambientazione, abituato l’occhio ai cambi di scena, e l’orecchio a certe peculiarità di linguaggio, ci si ritrova belli belli incuriositi.
Di cosa parla questa storia? Un supereroe che scopre di non bastare al mondo, di non riuscire a salvare il mondo? Anche ma non solo. La parabola di Matteo è una parabola umana, la costruzione di una nuova chiarezza nello sguardo, il tentativo di districarsi da un mare di merda (si può dire merda su Anobii?) in maniera vincente.
Poco chiaro, eh?
Un conte philosphiques rastafariano. Immerso nell’Italia di oggi.
Jacopo, porcaccia la miseria, fortuna che è corto e lo posso rileggere quando voglio. Ad ogni riga la sensazione che ci sia ancora qualcosa da capire, in più.
(io, forse, ma solo forse, ci avrei messo qualche cosa in meno)»

Il modo in cui s’inginocchiavano

Da “L’argine delle abitudini”, in L’ora migliore e altri racconti, di Simone Ghelli:

Simone Ghelli, L'ora migliore

«Abbandonò il suo film preferito – perché quel viaggio era sempre in qualche modo lo stesso film: guardava le stesse cose e si atteneva agli stessi limiti proprio come se ci fosse sotto un calcolato lavoro di taglio e di montaggio – per buttare uno sguardo fuori del suo campo visivo. Lungo l’argine di destra, sul limitare di una piazzola di sosta, colse quello stesso riverbero sul filo argentato che addobbava un piccolo abete sistemato in un vaso. La croce di ferro che spuntava da una selva di mazzi di fiori la notò subito dopo, ma a causa della velocità non poté scorgerne i particolari – da un punto di vista spaziale della composizione l’albero veniva dopo e dunque dovette ruotare la testa all’indietro per quanto gli fu possibile, cioè senza abbandonare del tutto la visuale della strada.

Continua a leggere questo post

Dimanche

Max Scheler

Ciò che è nuovo, «inusitato», nel rapporto emozionale di Francesco con la natura è il fatto che i prodotti e i processi della natura hanno un senso espressivo proprio, senza una relazione allegorica con l’uomo e con le situazioni umane in generale. Che anche il sole, la luna, il vento, ecc. che non hanno alcun bisogno dell’amore caritatevole e compassionevole, vengano salutati ed esperiti dall’anima come fratelli e sorelle; che le creature, anche nel loro contesto metafisico (e solo con l’inclusione dell’uomo), vengano rapportate immediatamente al loro Creatore e «Padre» come esseri esistenti per sé ed anche (in rapporto all’uomo) del tutto indipendenti nel loro valore: è questo l’elemento nuovo, sorprendente, straordinario, antiebraico, nell’atteggiamento del Santo.

Continua a leggere questo post