Ecco fera faccia di Gwar n.1

Rinuncia a un sonno cristiano e con autoriprovazione si abitua a dormire dalle otto del mattino alle tre del pomeriggio. Dopo aver letto qualche pagina di Lem si addormenta. Sogna di aver comperato cimeli da una trasmissione che si occupa di misteri ed evidentemente anche di televendita: nello specifico ha acquistato i cadaveri di storici assasini seriali tra i quali un tizio considerato un vero uomo lupo. Ne ha appoggiati un po’ a casa dei suoi, riempendo il salotto con una valigia contenente i resti della Cianciulli e due barelle coperte di rozzi plaid, una delle due recante il corpo imbalsamato di Pacciani. Un po’ di altri cimeli ne ha a casa sua. Sua madre è contrariata, trova tutto questo di pessimo gusto (questo, attraverso una catena di concetti mediata dall’aggettivo infelice, gli ricorda che nell’horror giapponese una mancata sepoltura spinge spettri a tormentare); suo padre vorrebbe sembrare razionale, ma non sfugge la sua spaventata perplessità di fronte all’acquisto, e gli domanda, in ogni caso, se abbia tenuto le ricevute, qualora si manifestassero accuse di illecito possesso. Lui ci pensa, effettivamente non ricorda, gli pare proprio di no. Aggiunge però che il Signor Carlo Lucarelli è persona perbene e, qualora si presentassero problemi, non mancherà di testimoniare il regolare acquisto. Per sottolineare la sua sicurezza sorride sornione e batte una mano sulla valigia della Cianciulli (sollevandosi assieme alla polvere, l’horror giapponese aleggia nuovamente). In silenzio, mesto, considera che sarebbe bene liberare casa dei suoi – e al più presto possibile – da quell’insepolta compagine, anzi: pensa che mai avrebbe dovuto portarcela. Tuttavia non ha altro spazio, il danno ormai lo ha fatto: ne piange. Si sveglia. Legge Lem.

Lucidità 3

Esco dalla fotocomposizione, chiudo la porta di vetro e dietro di essa vedo la tipa della fotocomposizione che mi fa ampi gesti. Perché, mi domando, la tipa mi sta facendo ampi gesti?
Seguo i gesti e vedo, oltre il vetro della porta, una borsa nera appoggiata alla parete della fotocomposizione. Perché mi indica quella borsa nera, identica alla mia borsa nera, al di là della porta?
È la mia borsa. Riapro la porta. Ringrazio la tipa. Riprendo la borsa.
Vado alle poste, devo fare una raccomandata. Prendo il numero per lo sportello. Mi metto al trespolo dei moduli e incredibilmente c’è il modulo per una raccomandata (non c’è mai). Al trespolo siamo io e un tizio intento a compilare i suoi moduli. Compilo il modulo e proprio quando ho finito il tizio mi fa:
– Ma quello era il mio modulo!
– Oh, mi scusi, pensavo fosse qui.
Era qui: infatti era il mio modulo.
– Volevo dire: pensavo fosse già qui, offerto all’utente delle poste.
– No, era mio; ovvero: lo avevo richiesto affinché lo divenisse.
– Mi scusi ancora, gliene prendo un altro.
– No. Lasci stare.
Va via. È quasi ora che scatti il mio numero. Mentre aspetto guardo fuori oltre i vetri delle poste. C’è un piccione. Zampetta con l’aria imburnita, barcolla, non sembra del tutto sveglio. Mi somiglia: entrambi stiamo rimanendo da qualche parte dove non è il caso di rimanere.

The verde

Non avevamo davvero sogni. Potendo, avremmo lasciato tutto com’era: lo sapevamo, in fondo all’anima, che dopo la laurea sarebbe stato impossibile continuare a fingere d’essere adulti. E forse non possiamo lamentarci, ché l’abbiamo avuta anche noi, la nostra parte di vita.
Ricordo infatti la scrivania di ciliegio e la pioggia sui tetti rossi oltre la finestra. Ricordo la musica del piano e il calore dei termosifoni. Ricordo i libri della biblioteca e il giardino di via Frassinago in primavera.

Save the irraggiungibile: save the world

paint it black 2
Paint it black 2

Non posso lamentarmi, pure se le metafisiche vanno a pezzi tra le mani. Non ho sentimenti cosmici di pessimismo interstellare da postare. Non ho dèi da bestemmiare per errori di creazione. Però non ho la colazione, perché mi va di traverso, e la moka non funziona neanche bene. Ho da correre ogni giorno tra un bastone e un relatore e intanto ho un lavoro da aggiustare, ché così poi non va bene, non può fare. E fatico ogni nottata a prender sonno, e fatico anche a pensare a che cosa posso fare, dopo, domani, e temo ben dopodomani. È finita a quanto pare l’era dei vaneggiamenti. A giorni qua vaneggio solo perché non c’è più il pane. Devo stare dietro a tutti, e tutti nel frattempo vede bene di inculare. E non riesco neanche a dirti: dai, su, fammi sorridere. Perché io non ce la faccio, e non mi diverte affatto che il mio stato esistenziale abbia preso queste forme, che ai miei incubi di allora sia venuta questa idea di far gli anni assieme a me, maturare uguale uguale agli interessi dei strozzini, e in più con quella fotta tutta loro di farsi materiali: proprietà qualitativa. Profezia che si autoavvera? Dipartenza in auto nera. Chissà quando ho cambiato idea, sulla reincarnazione: quand’è che ho cominciato a non volerla. E non mi importa se non puoi più farci niente, non mi importa se i casini sono miei, se i cazzeggi sono miei, se le conseguenze poi alla fine resteranno tutte mie. Mi importa solo che hai capito. Sono io che non capisco, mo’, sono io che non capisco quando parli, non capisco ciò che dici, non ti seguo, nemmeno ad inventarti. Vedo bene che si muove la tua bocca, vedo bene che fai suoni articolati, ma non ne capisco il senso, e non posso farci niente, beibe, non ci posso fare niente, sono stanco di esser stanco e non trovo vie d’uscita. Il cliente che hai chiamato è al momento irraggiungibile.

Andata e ritorno

Ieri sera ero così stanco che mentre leggevo mi sono addormentato e mi sono ritrovato a parlare con uno in un sogno. Questo mi chiedeva delle cose, ma, mentre tentavo di rispondergli, spiegandogli che non connettevo perché ero stanco, mi sono addormentato.

Mettete in conto che devo ripassare dal tizio, prima.

Iodio

Qualcosa di buono mi è stato accanto tutto il pomeriggio, iniettando in me il sospetto, quasi la certezza, che oltre il cortile, oltre il funk rumeno, oltre il lato opposto del palazzo, e magari dopo altri tre metri, San Salvario finisse. Che cominciassero viali alberati, aria tersa e colma di salsedine, ville di persiane colorate e infissi lavorati, sabbia fina che si alza con la brezza.
Poi son dovuto andare a fare la spesa.
Non va.
Qualsiasi cosa tu sia, grazie davvero.
Ma non sei casa mia.


i and i
I and I


Don't believe the hype

Recensioni, recensioni,
recensioni.
Così fitte di
condizione smarrita e
radicale alterità.
Fate andar del tutto fuori
ciò che solo sta a metà.

Tempo

Non chiederei mai indietro
il tempo
dell’errore, dell’attesa,
dell’asmatica ripresa
nel dopo della sbornia,
della via presa sbagliata,
concreta o figurata.

Il tempo che ho sprecato
non è oggetto di pretesa.

Ma diobòno il tempo
dei ritardi ferroviari,
delle connessioni lente e
degli windows da rifare,
quello, cazzo, è rapinato.

Personal Shiva

Che io mi sia lavato i denti con la pomata per l’ematoma è un trascurabile accidente. La maggiore rilevanza ora l’assume la domanda se spalmarmi il dentifricio sulla mora sarebbe perseguire l’ordine o il disordine.