Maius quam cogitare potest – Seconda meditazione in novembre

L’assenso

Il punto è l’assenso, quello è lo scambio dei binari: quando la chiamata incontra l’assenso noi non smettiamo di esercitare le funzioni dell’anima, le funzioni che ci vogliono potenti, pensanti, desideranti: le esercitiamo illuminati dallo spirito. Questa poesia di Mandela Marianne Williamson, Our Deepest Fear, potrebbe far pensare il contrario, e cioè che ci si debba accettare sul puro piano dell’anima:

La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.

E’ la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: "Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso?"
In realtà chi sei tu per NON esserlo?

Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.

Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.

E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.

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Maius quam cogitare potest – Prima meditazione in novembre

La disposizione

Abbandonare l’affannosa ricerca di quel volere-illuminare schellinghiano che discende nel desiderio oscuro tentando di illuminarlo – tanto che verrebbe da chiedersi quale delle due parti è quella realmente aggressiva e cannibale – non è sufficiente a trovare un nuovo modo di relazionarsi alla vita, ma è necessario affinché si sia pronti ad accogliere lo spirito, come, dice Schelling, qualcosa che innalza la volontà anche rispetto a se stessa come mero desiderio: è necessario dunque affidarsi, imparare ad affidarsi, sapersi affidare, fidarsi della propria speranza e del fatto che, se anche in quel momento non possiamo percepirlo, il mondo è bello. Dice: che certezza ho che se io mi fido poi lo spirito soffi? Nessuna, infatti devi imparare a fidarti. Ma – insieme – restano vere le parole di Deda: “Dovemmo perderci per ritrovarci, e poi fidarci, perché c’era la stessa luce ad aspettarci”. Come avviene la ricezione? Attraverso una disposizione, dunque: il fidarsi. Che dipende da noi, dalle facoltà che già abbiamo, non da quelle che ancora non abbiamo.

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Maius quam cogitare potest – Seconda meditazione in ottobre

Anima e spirito

Nasce spesso una confusione tra vita dell’anima e vita dello spirito, tra piano psichico e piano spirituale, che è funzionale alla vendita e diffusione di pseudo-dottrine che, non solo oggi, ma anche in passato – perché la tentazione di riduzionismo c’è sempre stata – pretendono di sciogliere nel nome di sapienza un affabulare inutile, pieno di contraddizioni e del quale la legittimazione della contraddizione è parte integrante.
S’è visto come per Schelling dal fondamento oscuro che si specchia in sé nasca la luce  come Verbo, ovvero come Logos. È questo il Logos che ordina il Caos pescando nel fondamento e portando alla luce –  cioè esercitando la creazione perpetua che chiamiamo tempo – le cose e le creature, ordinandole secondo i principi della logica e della fisica, le leggi universali del nostro universo. È la mediazione necessaria alla creazione.

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Maius quam cogitari potest – Prima meditazione in ottobre

Grazia e giustizia

Desiderio e intelletto, in qualunque ordine li si ponga, danno luogo a due problemi che fanno dubitare della possibilità di equiparare il Logos greco-ontologico al Logos evangelico. Il primo problema è proprio che il Logos greco è ontologico e non psicologico: non è riducibile in termini fisici, l’altro sì; non ha limiti, l’altro sì. Ora, il messaggio evangelico è Logos in quanto messaggio e si rivolge all’essere umano in quanto limitato, anzi, fa della presa di coscienza del limite il cardine del suo insegnamento, e di fatto individua la radice del male psicologico proprio nella pretesa dell’intelletto umano di eguagliare il Logos ontologico. Il secondo problema che si presenta è che, facendo di intelletto o di desiderio la radice dell’Essere, il mondo appare così come lo vorrebbero e se lo rappresentano gli schopenauti: o ordine razionale senza valore intrinseco (intelletto) o infinita catena alimentare intrinsecamente triste; il che non sarebbe di per sé uno scandalo, a dirlo, se fosse vero. Il fatto, però, è che se si segue il consiglio-Logos evangelico entrambe le rappresentazioni – essere come intelletto e essere come desiderio – vengono certo non annullate ma sicuramente integrate nella comprensione, anzi: nella scoperta del mondo come gratuità, come opportunità di vivere, come bene e bello.

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Maius quam cogitari potest – Quarta meditazione in settembre

Desiderio, o intelletto. O.

Schelling, che è panteista, sembra quasi dire che Dio viene alla luce nel venire alla luce progressivo della natura, e che egli perviene alla coscienza di sé attraverso quell’evoluzione della natura che è l’uomo. Alla base di questo dispiegarsi Schelling pone da un lato il Fondamento oscuro, che non è esistente, ma è proprio il fondamento stesso dell’esistenza, e che per Schelling è puro desiderio cieco; dall’altro lato Schelling pone il Logos, quel Logos ontologico che è la forza ordinatrice, il Logos come grammatica della natura, che illumina il Fondamento oscuro e man mano che lo illumina trae alla luce, e quindi le ordina secondo le sue regole, le cose che esistono e i loro istanti; e man mano che lo illumina il Fondamento si ritira in sé stesso. La dialettica tra Fondamento e Logos (e la Terza Forza che da essi procede e alla quale penserò un’altra volta) è il divenire di Dio, è la vita stessa di Dio.
C’è qualcosa di meraviglioso nella concezione schellinghiana, e probabilmente sta nella sua capacità di dare soddisfazione sia al nostro sentimento di trascendenza sia alla nostra esigenza intellettuale di una visione scientifica del mondo. Ma rimane in qualche modo una narrazione ontologica che forse crolla proprio laddove ci si aspetta non una spiegazione del venire al mondo del mondo, ma l’insegnamento di uno stile di vita: è un Logos nel senso ontologico di grammatica naturale, quello di Schelling. Nient’altro, almeno per ora. Almeno finché non sorge la Terza Forza. Ma quello che mi interessa qui sono le concezioni della Prima e della Seconda.

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Ritorno alla terza meditazione in settembre

L’intera vita emotiva viene piuttosto vista come un caos di eventi totalmente ciechi che si svolgono in noi al modo di un qualsiasi processo naturale, di eventi che devono essere caso mai orientati con una qualche tecnica per ottenere un vantaggio oppure per evitare un danno, ma a cui non si deve affatto prestare ascolto, magari facendo attenzione a capire che cosa “intendono”, che cosa ci vogliono dire, che cosa ci consigliano o sconsigliano, qual è la loro mèta, che cosa indicano! È possibile stare in ascolto di quanto un sentimento ci dice quando sentiamo la bellezza di un paesaggio e di un’opera d’arte, oppure quando sentiamo le qualità peculiari di una persona che ci sta davanti; intendo dire che è possibile percorrere questo sentimento stando in ascolto e accettare in modo sereno l’esito a cui tale percorso ci conduce. In tal senso stare in ascolto significa avere finezza d’udito per ciò che ci sta di fronte e verificare in modo rigoroso se quel che noi esperiamo come chiaro, evidente e determinato, è veramente tale. È allora possibile una cultura che sappia discernere in modo critico ciò che in un determinato sentimento è “autentico” e ciò che è “inautentico”, ciò che appartiene al semplice puro sentire e ciò che è invece solo un aggiunta del desiderio, della volontà orientata verso determinati fini, oppure della riflessione e del giudizio. Tutto ciò è andato costitutivamente perduto per l’uomo moderno. Fin dal principio egli non ha fiducia in ciò che nel sentimento potrebbe udire, né dimostra di prenderlo sul serio.

Max Scheler, Ordo amoris

Maius quam cogitari potest – Terza meditazione in settembre

Padre, Madre

Il Padre è oscurità di materia, e quindi per noi, ma solo per noi, caos, perché i rapporti di causa ed effetto che ci hanno effettuati, che pure ci sono stati e che una mente infinita dotata di memoria infinita potrebbe anche tentare di ricostruire, appaiono a menti finite con memorie finite – quelle insomma di cui disponiamo – come un irricostruibile caos di traumi, esperienze, ricordi, ragioni addotte ma chissà poi se reali. Noi cerchiamo di ricostruirlo con l’accanimento di chi vuol capire, reagiamo al suo apparente caos con volontà di controllo e terrore dell’indeterminato: è il modo più veloce per non conoscerlo, cioè non sapere come gestire il rapporto con lui, che sta dentro di noi e ci punisce quando non lo conosciamo, ovvero quando a tal punto non lo conosciamo che pretendiamo di conoscerlo. Una tale aggressività non fa che irritare il Padre in noi, rendendo noi irritati e irritabili, non fa che allontanarlo, aumentando la nostra oscurità, non fa che confondere, mentre aspettiamo un segno che ci indichi per quale motivo vivere, quando vivere significa proprio smettere di attendere i segni. Chi cerca il Padre con il padre, con la propria parte maschile, aggressiva ed esaurita nel raziocinio, non potrà che trovare il padre. Se si muovesse altrimenti potrebbe invece incontrare la Madre.
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Maius quam cogitari potest – Seconda meditazione in settembre

Perdono, fede.

Cosa intendo per Logos come insegnamento e non come grammatica della Natura. Quando Gesù parla della pratica dell’elemosina e dice: “Non sappia la mano destra ciò che fa la sinistra: sarà il Padre vostro a ricompensarvi”, esprime un pensiero relativo al Padre, cioè al fondamento oscuro (oscuro può essere solo buio, qui, o anche assumere un significato negativo, a seconda dell’accoglienza o dell’aggressione che riserviamo al fondamento). Gesù sta spiegando come vivere meglio: la ricompensa è presente, è la vita migliore, il vivere bene, il vivere nel presente non come il presente passivo della melanconia, che non trascorre e fugge, ma come presente attivo di cui ogni istante è eterno. Se cerchiamo una ricompensa nell’orgoglio, stiamo delegando a un futuro o a un’altra parte della mente o a qualcosa d’altro nello spazio il potere di ricompensarci. Se la attendiamo non la troveremo, se non la troveremo non avremo capito che è lo scorrere della vita buona la ricompensa, saremo come uno che credesse che si mangia bene non per stare bene ma perché se mangiamo bene prima o poi qualcuno ci porterà da McDonald’s. Un pensiero come quello formulato da Gesù cancella con un colpo solo tutta l’etica socratica, che è un’etica dell’estetica conscia e non del fluire regolare del subconscio. Ma la frase di Gesù dice ancora qualcosa di più, anche rispetto a se stessa. Insegna un’etica complessa e il di più che dice è di più proprio in relazione al suo primo significato.

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Maius quam cogitari potest – Prima meditazione in settembre

Questi pensieri, modesti, sono un dono per chi ha messo in moto il processo che per essi mi ha condotto. Spero che possano essere di un qualche interesse anche per chi passa, abitualmente o per caso, da queste parti.

"Ciò che è scritto è il commento di ciò che non lo è."
Jean-Pierre de Caussade

Quale conoscenza

L’interpretazione della Trinità dominante nella filosofia occidentale – ma sarebbe il caso di dire: la trinità che la filosofia occidentale riconosce, essendo la trinità una dialettica ontologica già individuata prima del cristianesimo e la cui speculazione perdura dopo la Rivelazione –, salvo una ulteriore ed evidentemente migliore analisi delle posizioni di Plotino, Ficino e Schelling, mi sembra sbagliata: Potenza, Sapienza, Amore. O Caos, Logos, Amor: basterebbe domandarsi per quale motivo Gesù, che insegnava l’amore, sia chiamato  Logos, mentre l’amore sia affidato allo Spirito, per rendersi conto di quanto sia tirata per i capelli la prospettiva che dà vita a una tale trinità. La filosofia occidentale – che ha mutuato il concetto di Logos dalla filosofia greca e vuole assolutamente usarlo – sbaglia perché affida al figlio il Logos discorsivo che ordina il Caos, quindi il ruolo di grammatica della natura, e allo Spirito l’amore come brillantezza dei rottami prodotti da questa lotta tra materia e forma. Ora, il rapporto tra Caos e Logos è certamente necessario a un livello strettamente ontologico: non possiamo negare che si dia un Logos del Caos, in qualche modo dobbiamo ammettere che le cose abbiano un ordine, o se non altro la tendenza a permanere se stesse, a resistere al dissolversi dell’essere in un vortice continuo. Del resto non possiamo negare che vi sia un Caos dietro al Logos, perché le cose divengono e non restano mai le medesime, esiste infatti il tempo. Infine, alla luce di come vanno le cose nel mondo, ci sentiamo ogni tanto spinti a negare lo Spirito, e di questo pensavo di parlare più avanti.

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