De rerum paura (episodio 3)

L’assunto (2) secondo la predisposizione genetica

Se il nostro Callicle vivesse ai giorni nostri potrebbe affermare che in realtà la tendenza all’eterosessualità è universale, ma in certi casi viene sovrastata da tendenze opposte.
Potrebbe farlo asserendo che c’è un carattere naturale che appartiene a tutti gli esseri viventi che abitano il pianeta Terra: la spinta alla continuazione della specie. Senza attribuire alla specie la volontà di compiere un’azione in vista di una causa finale, immaginiamo che vi sia una predisposizione, sottoforma di DNA, alla ricerca della procreazione. Chiamiamo la tendenza generata da questa predisposizione “tendenza procreativamente corretta” e le tendenze opposte – che sa il dio da quanti desideri e accidenti possano scaturire – “tendenze procreativamente scorrette”.
Ora sarà d’uopo rilevare che le tendenze procreativamente corrette si manifestano sul piano dei desideri e dei comportamenti che ne conseguono (e non vedo come potrebbe essere altrimenti): ovvero la fisiologia “causa” dei modi di essere psichici.¹ Ora, se le tendenze procreativamente scorrette trionfano in me sarà necessario ammettere che, almeno sul piano psichico, la loro forza aritmetica si è dimostrata maggiore di quella delle tendenze procreativamente corrette. Ma non è necessario che le tendenze procreativamente scorrette trionfino: ci basta che ci siano, perché affinché i fenomeni psichici si verifichino è necessario che vi sia una fisiologia pronta ad accoglierli, che li renda possibili, che sia configurata in modo conforme o in modo da potersi conformare al loro verificarsi. Dunque è necessario ammettere che, accanto a una ipotizzata predisposizione genetica alla procreazione, esiste una predisposizione genetica, cioè una capacità del nostro sistema corpo-mente –prevista, quindi, dal DNA di cui esso è espressione – ad accogliere stimoli indifferenti o contrari alla procreazione. Domanda: una predisposizione genetica non è una predisposizione naturale?
Non può fare.

Non far fare agli altri ciò che faresti tu

Un’“etica naturale” come la intende Callicle(a) è semplicemente la ricerca della soddisfazione dei desideri vincenti, che tra l’altro interagisce con la comprensione che ne abbiamo e che può intervenire su di essi (la trovo così fascinosa perché mi ricorda la mia compagna di banco del liceo: questo può influire in un modo o nell’altro sul fascino che subisco; mi piace perché se la tira, se se la tira è stronza, non mi piace più). In nessun modo ha senso intendere, in questo quadro, qualcosa come “contronaturale” se non per scelta culturale. Per carità, sarebbe un bel giochino, ma i bambini, che sono molto intelligenti, sanno che quando giocano stanno giocando. E i bambini che evitano e sfottono il lupo anche quando smettono di giocare a lupo, li chiamiamo bambini cattivi.
Non può fare.
Un’“etica naturale” come la intende chi la intende oggi, è possibile immaginarla solo su presupposti soprannaturali (per chi non ha fede, culturali: torna sopra). Un’etica naturale soprannaturale: e dovremmo riservare a una contraddizione in termini talmente spropositata il sostantivo verità?
Non può fare.
Assumere una distinzione “natura”/“contronatura”, a questo punto, sembra possibile solo se sostituisco i termini con “volontario”/“involontario”, con un significativo spostamento semantico che però avviene nel linguaggio di tutti i giorni: noi consideriamo “contronatura” qualcosa che ci sembra imposto. Molti di noi considerano “contronatura” che i preti non si sposino (non che non abbiano rapporti, che non si sposino, benedetta etica naturale culturale!), cioè considerano “contronatura” ciò che per loro sarebbe una costrizione, ma infatti loro non hanno scelto di essere preti. Di fatto, per un prete non è costrizione non fare sesso, o meglio: è una costrizione autoimposta per raggiungere un bene giudicato maggiore rispetto a quello cui si perverrebbe se non ci si imponesse questa autocostrizione: ogni morale (b) non è altro che una morale (a), e accusare questa creatura di relativismo,² come si sente fare ultimamente da qualche angelicato, sarebbe come accusare di relativismo uno specchio per il fatto di non avere una sua immagine e riflettere sempre quelle degli altri enti: non può fare. In definitiva, se “contronatura” ha un significato, significa: costringere gli altri a non fare ciò che desiderano; per questo le leggi erano “contronatura” per Callicle, perché erano contro la sua natura.

Ontologia: vera teologia

Scomparendo l’assunto (2) scompare anche l’assunto (1), nel senso che (1) finisce per non dire nulla, dato che la natura è ciò che avviene in natura, fino a prova contraria, e la prova contraria sarebbe per definizione extra o soprannaturale, e quindi non sarebbe natura. Del resto, se avvenisse in natura qualcosa che contravviene a ciò che abbiamo sempre creduto della natura (per esempio un miracolo), sarebbe comunque natura, perché avviene in natura e con il resto degli elementi della natura interagisce.
In tal caso dovremmo certamente ridefinire le nostre “leggi di natura” che in definitiva si risolvono in un pacchetto di regole fisiche e logiche che reggono la totalità di ciò che esiste. Ma dalla natura non possiamo uscire. Non possiamo immaginare nulla che stia oltre la natura. Forse lo possiamo concepire per mezzo del linguaggio e concependo la privazione di linguaggio: ciò che non ha logos, l’ineffabile, l’unum o, come lo chiamava Wittgenstein, il mistico. Ma questo non-ente, in quanto non-ente, non può avere nessuna delle caratteristiche naturali, né pendere per un moralismo o per l’altro, pena rientrare nel limite di ciò che è limitato, e, quindi, contravvenire alla sua “natura”. Di esso è pari manifestazione ogni cosa che sta di qua. Altro non può fare.

¹ Con il termine "fisiologia" intendo comprendere qui anche la neurofisiologia e in generale ogni fenomeno fisico e chimico che attraversa il corpo umano e che lo rende ciò che è. A esser sincero ritengo che fenomeni fisiologici e fenomeni psichici siano le stesse cose viste ora da un punto di vista ora dall’altro.
² Oggi molti chiamano "relativismo" il riconoscere che ogni individuo ha i suoi valori e che essi non sono necessariamente uguali tra individuo e individuo, tra cultura e cultura. In altre parole si accusa il "relativista" di prendere atto della realtà: accusa alquanto bizzarra, dato che la realtà è là, e a volerci vedere qualcosa di diverso tocca essere dei relativisti di prima categoria.