Indagine sulla rabbia

Da La futura classe dirigente, di Peppe Fiore:

La margherita della pizzeria L’Economica sfilaccia penosamente alla prima fetta. Francesca mi descrive l’ambiente di lavoro al Tempo, che è il giornale dove sta adesso. Mi immagino i suoi colleghi, me l’immagino benissimo, tutti romanacci nipoti di assessore, che passano la giornata a provarci di prammatica con lei in quanto stagista a cinquecento euro al mese. Mi incazzo, vorrei rovesciare il tavolo e fare una strage al napalm degli studenti fuorisede agli altri tavoli, per cambiare discorso le dico di Qua la zampa!, dell’intima sostanza televisiva contenuta nelle vaghe pupille dei bastardini abbandonati. Francesca dice che sarebbe una cosa carina, in fondo io mi sono sempre vantato di andare d’accordo più con le bestie che con gli esseri umani. Musica maestro: mi incazzo come una iena. Che ne sa lei di quello che significa lavorare sui format, i ritmi fordisti, l’intelligenza al servizio dello stereotipo, lo stress eccetera eccetera? Gianluca ha fatto La talpa e dopo tre mesi vedeva Paola Perego ovunque.

Lei abbassa gli occhi, torna alla pizza, e io mi incazzo di più. Perché non mi risponde? Perché mangia così piano? Perché non ha preso la bruschetta? Francesca mi chiede se per piacere posso abbassare la voce – me lo dice piano, provando a sorridere, ha capito tutto, e mi mette negli occhi gli occhi enormi, struggenti in mezzo all’abbronzatura. Cos’è – urlo – vuole che sto zitto? Vuole che parliamo esclusivamente dei cazzi suoi? E allora perché ha bevuto solo un quarto di birra mentre io sono già alla terza? Sta di nuovo zitta (effettivamente c’è uno che si è girato dal tavolo di fronte, ha il cranio rasato e il naso bleso, vestito da studente di antropologia fuoricorso, mi vede ringhiare e si volta subito). Vuoi che cambio lavoro, il settimo in un anno? Vuoi parlare solo di Gian Antonio Stella, quel coglione (non è vero, piaceva pure a me già prima che facesse il botto)? Vuoi che andiamo in vacanza in Turchia? Vuoi che andiamo a vivere insieme? Che cazzo vuoi? E perché non prendi il dolce? Perché non bevi? Perché non mi dici che sono un artista? Francesca non risponde, si capisce che la pizza le è venuta a disgusto e la sta mangiando a forza solo per non sentirmi. Io la mia la divoro, mezza pizza in quattro morsi, chiedo la quarta birra fuori tempo massimo, dopo venti secondi d’orologio comincio a schiumare perché non me la portano e quando me la portano mi accorgo che non mi andava. Tratto male il cameriere, una cosa che mi fa schifo quando la vedo fare agli altri.
«Guarda che mica devi mangiarti la pizza a forza solo per farmi contento», le sibilo ciambottando in bocca un glomerulo di mozzarella. Al che Francesca si arrende e lascia la forchetta nel piatto. Sospira e non dice niente. Scolo la birra, mi sento distrutto, vorrei ruttare, penso che se lei non finisce la pizza significa matematicamente che non mi ama, non mi ha mai amato e quindi non è disposta a fare nessun sacrificio per me e quindi mi ha sempre preso per il culo, sempre, dal primo giorno. Ne sono profondamente convinto e glielo dico, lei mi prende la mano, me l’accarezza, mi chiede – mi implora – di stare tranquillo. Mi guarda. Sento di amarla e avrei l’impulso di romperle il polso, lasciare il lavoro, vendermi casa e andare da Ennio dall’altra parte del mondo con una culona.
Chiedo un Amaro Lucano come l’avrebbe chiesto Almirante.