Manufatti

Questa recensione è apparsa sul numero 7 di Satisfiction.

Wunderkind di D’Andrea G.L. fa molte cose e le fa bene: dà inizio a una trilogia dipingendo un mondo gotico e fantastico che ti si imprime nella mente, lasciandoti con la voglia di penetrarlo a fondo; di quel mondo ti fa letteralmente vedere le architetture, la terra, i cieli, i colori e persino il bianco e nero; ti fa sentire la pioggia che ti cola addosso, l’umidità che penetra le ossa; crea atmosfere dalla densità soffocante; descrive le paure e le angosce di un adolescente con la serietà e la considerazione riservate di consueto alle paure e alle angosce degli adulti senza trasformare l’adolescente in un adulto, ma anzi rivendicandone la specificità, lasciandolo libero di vivere il suo spleen che confina con l’orrore; solo che qui l’orrore irrompe nella realtà: l’autore lo prende sul serio, l’adolescente; stana l’essenza lugubre degli oggetti come solo gli incubi più disperati riescono a fare; radica l’incantesimo nella nostra forma di vita e, per ogni singola persona, in ciò che ha di più caro e intimo; concretizza fantasie oniriche terrificanti in immagini ad alta precisione; traduce in azioni e archetipi i sentimenti di amore coniugale, filiale, materno, talvolta li stressa; narra la violenza, e la fragilità nella violenza, con lingua eccellente.

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Ossa rotte

Questa recensione è apparsa su Satisfiction 6.

Lotta armata, movimenti, infiltrazione di ieri e di oggi: dalle università degli anni Settanta alle nuove Brigate Rosse passando per il G8 di Genova, Guglielmo Pispisa – membro dell’ensemble narrativo Kai Zen, qui al terzo lavoro solista – racconta una storia più antropologica che politica, una storia alla quale la precisione della lingua, l’intensità dello stile e l’elaborata psicologia dei personaggi conferiscono la potenza per imporsi al lettore come l’emblema di un fenomeno collettivo. E il lettore ne esce con le ossa rotte. La terza metà ritrae un agire politico la cui caratteristica fondante – che ciò sia chiaro o no a chi agisce, e qualunque sia la fazione nella quale costui agisce – non sta nella concezione politica, ma in un estremismo originario e totalizzante, tanto che le parti di un agente dei servizi segreti, di un brigatista e di un rapinatore si possono scambiare come nel gioco delle tre carte, e l’orientamento si può perdere, delle contraddizioni ci si può addirittura compiacere e ci si può ubriacare di violenza su una strada che, una volta intrapresa, restituisce la possibilità della pietà e della poesia solo al termine del processo entropico, nello stagno dell’allucinazione. Sopravvive solo lo Stato, i cui scopi si sono perduti in spazi remoti, estranei a ogni patto sociale; uno Stato che ripresenta ai figli, oggi, le eredità indecifrabili dei padri, con tutto il carico di seconde e terze metà, pronte per una storia da ripetere perché incomprensibile, magari a parti invertite, magari all’inverso dell’inverso.

Nel blogroll trovate Kaizenology, il blog di Kai Zen.

L’equazione negata

Questa recensione è apparsa sul numero 5 di Satisfiction.

Chimamanda Ngozi Adichie, Metà di un sole giallo, Einaudi

Nel 1960 la Nigeria ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna e nel 1967, dopo una serie di scontri tribali, l’etnia igbo intraprese la via della secessione, che culminò nella dichiarazione d’indipendenza del Biafra. La Repubblica del Biafra sopravvisse tre anni: il piccolo stato che secondo i profeti della secessione avrebbe dovuto essere il modello e la guida dell’Africa nera, nel 1970, stremato dalla fame e dalle malattie, orfano di un milione di morti, si arrese all’esercito nigeriano. Chimamanda Ngozi Adichie, stupefacente trentenne al suo secondo romanzo, racconta gli anni sessanta biafrani attraverso le storie di Olanna e Kainene, due sorelle di buona famiglia, una bellissima e l’altra sfuggente, entrambe portatrici di una costanza che ha del sovrumano; dei loro uomini, Odenigbo e Richard, un docente universitario militante e uno scrittore bianco innamorato dell’Africa; e di Ugwu, vero protagonista in incognito: un ragazzo dei villaggi che il caso metterà sulla strada dei libri e della mondanità, una creatura sul crinale di due epoche e di due mondi. Tutti loro sono in misure differenti coinvolti nel clima intellettuale che nutrirà la rivolta biafrana, anche se, immersi nell’ovatta dell’ambiente universitario e delle serate a brandy, dischi di musica high life e discussioni politiche, non sembrano del tutto coscienti di ciò a cui stanno realmente andando incontro. Presi nelle vicende di coppia e paralizzati dalla scoperta delle proprie debolezze e meschinità, talvolta incartati nell’ideologia e forse troppo benestanti per immaginare batoste, vivono la secessione come se le leggi del mondo fossero quelle dei libri: credono nell’avverarsi dei loro ideali politici come ci si attende il risultato di un’equazione, come se la giustizia e la logica fossero la stessa cosa. Ma il sole giallo del Biafra sarà una promessa lasciata a metà: le certezze degli intellettuali militanti saranno travolte dalla brutalità devastante della repressione, e la stessa resistenza biafrana ai “barbari” sarà la guerra di una popolazione spesso incolta e violenta. Olanna non avrà «la sensazione di essere stata sconfitta; ingannata, piuttosto». Lei e gli altri appariranno tanto indifesi e umiliati quanto più sicuri e consapevoli sembravano prima. Perderanno l’aura divina, e diverranno adulti quando saranno troppo presi dai fatti per porsi il problema della propria maturazione.