Immersioni

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Stanislaw lem

«Che?… » mormorò Rohan con voce tremante, quasi trattenendo il respiro. Nel gergo degli equipaggi quell’apparecchio era soprannominato stetoscopio dei sepolcri. Nei casi di morte recente, o quando, come ora, non c’era stata decomposizione del corpo, era possibile ascoltare il cervello, o meglio ciò che rappresentava l’ultimo contenuto della coscienza.
L’apparecchio lanciava in profondità nel cranio degli impulsi elettrici, questi percorrevano il cervello secondo le linee di minor resistenza, muovendosi lungo quelle fibre nervose che, prima dell’agonia, avevano costituito una entità funzionale. I risultati non erano mai totalmente sicuri, ma si diceva che talvolta le informazioni ottenute fossero di un’eccezionale importanza. Nei casi come questo, in cui l’avvenire dipendeva dalla spiegazione del mistero del Condor, l’uso dello stetoscopio dei sepolcri era doveroso. Rohan aveva già supposto che il neurologo in realtà non aveva mai contato sulla possibilità di far rivivere l’uomo, ma era venuto soltanto per udire ciò che quel cervello avrebbe potuto comunicargli. Era in piedi, immobile, col cuore che batteva e la bocca stranamente inaridita, quando Sax gli porse il secondo ricevitore. Se questo gesto non fosse stato così naturale e semplice, lui non avrebbe mai osato mettersi la cuffia auricolare. Ma fu incoraggiato dallo sguardo calmo del dottor Sax, che stava inginocchiato presso l’apparecchio e girava il pulsante di amplificazione, a piccoli scatti.

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Solaristica (outro)

Stanislaw Lem, Solaris

«Nello sbocciare, evolversi, allargarsi di questa creatura viva, in ogni singolo atto e nei suoi movimenti complessi si manifestava, come avevo sperimentato, una ingenuità cauta ma non selvatica, quando si abbandonava a cercare rapidamente di conoscere, di capire la forma nuova e inattesa; e quando con rincrescimento doveva ritirarsi, non oltrepassava i limiti imposti da una legge misteriosa. Quale contrasto inesprimibile fra quella curiosità agile e quella massa che raggiungeva tutti i punti dell’orizzonte! Non ne avevo mai sentito così acutamente la presenza immane che, nel suo silenzio potente e assoluto, respirava regolarmente con le onde. Con lo sguardo fisso, immobile, affondavo in un cerchio apparentemente inaccessibile e, nella crescente intensità dell’abbandono di me stesso, m’identificavo con il cieco colosso liquido come se, senza il minimo sforzo, senza parole, senza un pensiero avessi perdonato tutto.

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Solaristica (4)

Stanislaw Lem, Solaris

«A mio parere, Gibarian aveva ragione nel giudicare che l’argomentazione sbrigativa di Muntius fosse di un madornale semplicismo, avendo trascurato di considerare ciò che nella solaristica era tutt’altro che elemento di fede, poiché i lavori instancabilmente perseguiti prendevano in considerazione solo la realtà materiale di un globo che girava intorno a due soli.
Nel libro di Muntius era inserito, piegato in due, un estratto molto ingiallito della rassegna trimestrale Parerga Solariana, uno dei primi lavori di Gibarian, di quando non aveva ancora assunto la direzione dell’Istituto. Al titolo, Perché sono solarista, seguiva succintamente, quasi alla maniera di un promemoria, un elenco dei fenomeni concreti che suffragavano l’esistenza di reali possibilità di contatto. Gibarian era appartenuto a quell’ultima generazione di studiosi che avevano avuto il coraggio di riallacciarsi all’ottimismo della prima età d’oro e che quindi non avevano rinnegato una fede che specificamente oltrepassava i confini limitati della scienza, ma fede dichiaratamente materiale, poiché credeva al successo di sforzi perseveranti e dinamici.

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Solaristica (3)

Stanislaw Lem, Solaris

«Un altro volumetto rilegato in pelle si era infilato fra le annate dell’Almanacco. Prima di aprirlo rimasi un po’ a rimirarne la copertina rovinata. Era un vecchio libro, Introduzione alla solaristica di Muntius; ricordavo ancora la notte di sonno che mi aveva sottratto, il sorriso di Gibarian nel darmelo, il giorno terrestre che albeggiava dietro i vetri della mia finestra quando ero giunto alla parola “fine”. “La solaristica” scriveva Muntius “è un succedaneo di religione dell’era cosmica, una fede che riveste i panni della scienza; il Contatto, suo fine supremo, è altrettanto oscuro e nebuloso quanto la Comunione dei Santi o la venuta del Messia. L’esplorazione pone in atto un sistema liturgico sotto la forma metodologica; l’umile laboriosità dei ricercatori è l’attesa di un Avvento, di un’Annunciazione, poiché tra Solaris e la Terra non esistono né possono esistere ponti. Ma questa verità evidente, come altre, come l’assenza di esperienze in comune e di concetti comunicabili, viene respinta dai solaristi nel modo in cui i credenti ricusano qualsiasi argomento che mini le basi della loro fede.

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Solaristica (2)

Stanislaw Lem, Solaris

«Risoltosi in fiasco completo ogni tentativo di mantenere in vita, sia pure allo stato vegetativo e ibernante, una qualsiasi parte grande o piccola del mostro separata dal suo organismo planetario, nacque la convinzione (sviluppata dalla scuola di Meunier e Proroch) che per risolvere il mistero esistesse una sola strada: trovare la chiave giusta d’interpretazione, che avrebbe chiarito tutto…
Alla ricerca di questa chiave, di questa pietra filosofale solaristica, si era gettata con grande spreco di tempo e di energia una quantità di gente digiuna di studi. Il numero di menti malate, estranee all’ambiente scientifico, che si davano alla speculazione – maniaci che per fanatismo nulla avevano da invidiare ai ricercatori del moto perpetuo o della quadratura del cerchio – si moltiplicò come per il propagarsi di un’epidemia, tanto che se ne occupò anche la psicologia. Questa fiammata, tuttavia, si estinse nel giro di alcuni anni e all’epoca in cui mi preparavo a partire per Solaris non se ne parlava più, né sui giornali né nelle conversazioni, come non si parlava più, in genere, della questione dell’oceano.

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Solaristica (1)

Stanislaw Lem, Solaris

«Nella prefazione Gravinski divideva in periodi i sessant’anni iniziali di attività solaristica. Durante il primo, che cominciava con la ricognizione preliminare di Solaris, nessuno aveva formulato esplicitamente ipotesi. Sulla base del “buonsenso”, si riteneva allora, intuitivamente, che l’oceano fosse un conglomerato chimico senza vita, un’immane massa gelatinosa che circondava il globo, che produceva per attività “quasi vulcanica” creazioni stupefacenti e che stabilizzava la propria orbita instabile in virtù di un processo meccanico autogeno, così come il pendolo, una volta messo in moto, mantiene immutato il proprio piano di oscillazione. A dire il vero, già poco tempo dopo Magenon aveva fatto cenno alla natura di essere vivente della “macchina colloidale”; ma Gravinski faceva cominciare il periodo delle ipotesi biologiche nove anni dopo, quando il parere di Magenon, precedentemente disatteso, cominciava ad avere numerosi seguaci. Gli anni successivi avevano conosciuto un’intensa fioritura di interpretazioni teoriche dell’oceano vivente suffragate daanalisi biomatematiche. Il terzo periodo era quello del marasma delle opinioni scientifiche, fino ad allora più o meno unanimi.

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