Tu sei un altro

Sabato alle 16.30 alla Biblioteca San Giovanni, a Pesaro, Demetrio Paolin e io presentiamo La seconda persona, poi Demetrio legge un inedito, o forse due.

Questo invece viene da La seconda persona:

Demetrio Paolin, La seconda personaTu non parli mai veramente con nessuno. Tu sei un altro, l’altro te: il fantasma, quello che nutre le parole, che tradisce e scopa con chiunque, che piange e muore ogni volta. E se risorge è solo per scherno. Tu sei il compagno grigio pallido come l’inverno sfinito, quello violento, colui che non ama teneramente, ma possiede, che impone il suo seme alla gente, che lo espone alla terra.
Tu non sei quello che ci si aspetta da te.
Chissà cosa si aspettava, tua madre. Quale segreto teneva nel cuore nei pomeriggi davanti al sussidiario? Non eri tu, ma sembrava normale, per una donna, figliare. Ecco, ti penti di non averglielo mai chiesto, di non averle mai detto: ma tu che figlio pensavi di avere?
Forse voleva un figlio diverso, opposto a quello che sei tu. È questa stoffa di delusione, mai detta, che lega te e tua madre: il non essere stato mai quello che lei desiderava. È cretina questa cosa, ma ti rimane nella gola: non sei mai quello che gli altri vogliono per te, e viceversa, tu sei sempre altro rispetto a quello che sei veramente. Chiunque si attende da te una determinata cosa, tua madre, tuo padre, tua sorella, la persona che ami, e tu non sai chi sei veramente: c’è il tuo fantasma, che se ne esce come un fiotto di notte, e provoca danni e ferisce. E nei loro occhi vedi quello che non sei. Tu gli vorresti cantare: mi fa disperare il pensiero di te e di me che non so darti di più. È in questa mancanza che tu esisti, è solo nel tuo non-essere-niente-di-quello-che-loro-vogliono che puoi essere.

Qui si può leggere un altro estratto dallo stesso libro.

Qualche libro del 2011

Di recensioni, recensioni di narrativa in particolare, quest’anno ne ho fatte pochissime, come si evince sfogliando la categoria recensioni su Yattaran: solo il post sui plugin della saggistica e due romanzi: Il bisogno dei segreti di Marco Candida e Se fossi fuoco arderei Firenze di Vanni Santoni. In realtà ho parlato anche di Nessun Paradiso di Enrico Piscitelli: qui (e anche del saggio di Federica Sgaggio, Il paese dei buoni e dei cattivi).
Oltre questi, mi sento di consigliare altri quattro titoli: L’ora migliore e altri racconti di Simone Ghelli (qui un estratto), racconti, lo dico subito, dei quali io non sono in grado di parlare (ma in parecchi, e bravi, lo hanno fatto), tanto mi hanno coinvolto e in quale modo; e questo perché qui, dopo il primo meta-racconto, che svolge anche il ruolo di sapiente introduzione, è tutt’un esplodere di epifanie che si compie nello spazio del preverbale onirico, e il filo narrativo si immerge nell’abisso, senza per questo mai venire meno. Storie. Ambienti. Suggestione. Luci. Oscurità. Vibrazione. Cose. Ghelli la sa lunga, soprattutto la sa profonda; posso dire solo: leggetelo, è un’esperienza.
L’impavida eroina eccetera, di Mauro Mirci, è un’altra raccolta di racconti – e siamo già alla seconda raccolta di racconti: io adoro le raccolte di racconti, specie se confezionate con questa perizia – racconti, quelli di Mirci, senza fronzoli, senza trucchi, solo racconti, puliti, precisi, delicati, empatici, narrati con quell’atteggiamento autoriale impeccabile che può essere solo il frutto della pietas verso i personaggi e dell’attenzione al reale, e che proprio per questo sanno inerpicarsi ai vertici e spalancare immagini sublimi, che illuminano tutto; vi dico solo: il tedesco alla mitragliatrice, le buste, il cortile; chi leggerà capirà, e vedrà che ho fatto solo esempi.
De La seconda persona di Demetrio Paolin (qui un estratto), della capacità di Paolin di perlustrare l’interiorità in un modo che rende la sua scrittura completamente diversa da tutto ciò che si trova in giro, della sua misericordiosa spietatezza, del suo trascendente corporeo, del suo male benigno, del suo bene doloroso, del suo materialismo sacro, del suo sacro materiale e di altri paradossi concettualmente perfetti tenterò di parlare, insieme a lui, il 14 gennaio alla Biblioteca San Giovanni di Pesaro.
E non è un romanzo ma quasi – per il piglio, per l’urgenza, per l’assurdità – Pazzi scatenati, il libro-inchiesta di Federico Di Vita sull’editoria italiana; che uscirà a gennaio, ma cominciate a pressare il libraio. Un libro che semplicemente va letto, e credo che questo consiglio lo darò, d’ora in poi, in occasione di ogni presentazione di libri nella quale mi troverò a essere parte attiva.

Girato al contrario

Un estratto da La seconda persona di Demetrio Paolin:

Demetrio Paolin, La seconda personaIl caffè nella macchina sale e copre il rumore dell’acqua. Sei circondato dall’acqua, lui è in bagno a farsi la doccia e fuori piove. Tu abiti in un bel quartiere, ti dici mentre guardi dalla finestra con la tazzina in mano. Il rosso dei coppi, le antenne e i balconi che ti circondano hanno assunto le sembianze di persone care. Parli ai tetti, ai lampioni e alle vie come da piccolo facevi con le macchine e i robot. A loro ti rivolgi quando un incubo ti spaventa e ti svegli nel pieno della notte. Anche ora cerchi in questi pezzi di città incarnata una possibile soluzione a quello che è successo.
Lui si è alzato e ti ha detto: ora ci vuole una bella doccia. Non ha aggiunto altro, come se fosse un fantasma o un automa con la sua faccia e le sue sembianze. Credi sia tutto dovuto alla pioggia – che batte con ritmo ineguale, che senti scrosciare dalle grondaie, che picchietta sugli ombrelli delle persone, che sembra ti entri dentro, fin nell’intimo.
Ma non lava, questo pensi; questa pioggia non lava niente, non pulisce, anzi, complica le cose. È la disperazione delle madri che devono pulire i pavimenti, la noia di chi è in giro per lavoro o per compere e deve trovare un posto dove stare finché non spiove. Acqua che non lava, ma anzi sporca – sorta di universo capovolto. Quello che è accaduto ha messo a soqquadro il mondo, lo ha girato al contrario: lo storto s’è raddrizzato, il dritto curvato e la pioggia non ha purificato ma reso lercio tutto.

Continua a leggere questo post

Martiri della tecnica – parte seconda:
la riduzione a cosa

Clemente Susini, Statua di giovane donna giaciente
Clemente Susini, Statua di giovane donna giaciente, 1782

Qui la prima parte.

Un discorso che tratti come una cosa quella parte di me che è una cosa non mi sembra una riduzione a cosa. Per esempio rispetto alla biologia io sono una cosa, e se un biologo nel suo discorso mi tratta come una cosa per ciò che concerne l’ambito della sua materia, io non avverto alcuna mancanza di rispetto da parte sua nei miei confronti. Quando il biologo userà il mio nome, lo userà per riferirsi non propriamente a me, alla mia identità, ma alla cosa che ha le mie caratteristiche biologiche. Diversamente, rispetto alle mie emozioni e alla mia capacità di decidere, sono una persona, che è anche una cosa, nella sua base biologica, ma non è solo una cosa.

Continua a leggere questo post

Corpo morto e corpo vivo / Urbino e Pesaro

Giovedì 18 marzo alle ore 17.30, a Urbino presso la Libreria La Goliardica in Piazza Rinascimento 7, Giulio Mozzi e Demetrio Paolin presentano il libro Corpo morto e corpo vivo. Eluana Englaro e Silvio Berlusconi, di Giulio Mozzi, con una nota di Demetrio Paolin. Con gli autori saranno presenti: Claudio Girometti, Simone Massa, Jacopo Nacci. L’incontro è a cura della Libreria La Goliardica.


Venerdì 19 marzo alle ore 18.00, a Pesaro
presso la Biblioteca “Bobbato” in Galleria dei Fonditori 64, (Ipercoop, 1° piano), Giulio Mozzi e Demetrio Paolin presentano il libro Corpo morto e corpo vivo. Eluana Englaro e Silvio Berlusconi, di Giulio Mozzi, con una nota di Demetrio Paolin. Con gli autori saranno presenti: Claudio Girometti, Simone Massa, Jacopo Nacci. L’incontro è a cura della Libreria Pesaro Libri.

Le stesse

Mi chiedo se c’è una differenza tra quelli che il giorno in cui Eluana spirò scelsero di guardare Grande Fratello e quelli che invece stavano davanti alla clinica a litigare, oppure stavano su Facebook a compilare status pro o contro questa povera ra­gazza e il suo corpo conteso. A corollario di questo è bene aggiungere che le persone, che si giocavano a colpi di veglie, preghiere, note internet il corpo appena morto di Eluana, erano le stesse che qualche settimana prima non potevano trattenere lo sdegno sui morti di Gaza, oppure discutevano della leadership all’interno del pd. Non esiste nessuna differenza tra questi e coloro che hanno guardato Grande Fratello. Entrambi vivono la logica del sentimento istantaneo: s’indignano a comando, si commuovono per qualcosa che li tocca superficialmente. C’è una totale indeterminatezza morale che mi pare figlia del dolore spettacolarizzato, dove ogni sentimento viene metabolizzato ed espulso nel giro di poco. Io non ho prove per sostenere quello che dico, tanto che qualsiasi persona potrebbe rispon­dermi che ha vissuto la vicenda Eluana come una tragedia.

da Il corpo e il rito. Appunti su Eluana Englaro, di Demetrio Paolin,
in Corpo morto e corpo vivo. Eluana Englaro e Silvio Berlusconi,
di Giulio Mozzi, Transeuropa 2009

Contro la barriera del cielo

Questa recensione è apparsa sull’Indice di gennaio.

È una rete, questo romanzo di Paolin, è l’intreccio dei ricordi del protagonista, Demetrio, dapprima giornalista incapace di rinunciare alle proprie velleità letterarie e infine addetto stampa d’un sindacato, strumento docile che s’affida alla mano altrui; Paolin percorre fili di memoria che si incrociano e formano nodi cruciali, lambisce il presente, accompagna Demetrio nel suo peregrinare mentale tra familiari e amici, tra forme di vita diverse e figure simboliche, talvolta incontrate realmente, come Renato Curcio, talvolta, come Mohamed Atta e la ragazza, immaginate e ricostruite nella loro psicologia.
Il titolo del libro identifica due poli: il nome e la legione, l’individuo e la moltitudine, Demetrio e il mondo. Così ogni polo racchiude in sé anche l’altro: Demetrio è tutte le persone che ama, che incontra, che immagina, che ha veduto, Demetrio è Legione, e la legione, la folla degli individui, è un individuo, un’unica sostanza, un dio che ha scelto di divenire carne, dissezione, possibilità d’errore biologico e morale. Creature che si compenetrano attraverso il sesso, la procreazione, l’alimentazione, il trapianto, ibridismi di corpi impazziti che deragliano da un campo morfico all’altro: Il mio nome è Legione racconta – ed è – un unico, traboccante dio di materia che si incontra e si scontra con se stesso, in se stesso, senza soluzione.

Continua a leggere questo post

Poi arriva un giorno

«Poi arriva un giorno, che è un giorno più bello degli altri, Abramo si è alzato ed è felice, perché oggi il sole è splendente e sa che passerà un giorno intero con suo figlio. In quel giorno dio chiama Abramo e gli dice: “Se tu mi ami, devi sacrificarmi tuo figlio.” Abramo non guardò dio, che l’avrebbe ucciso. Decise che non c’era niente da fare, forse Isacco era nato per questo. Gli uomini un tempo erano così, non si chiedevano le cose. Abramo disse che Isacco possedeva qualcosa che lo faceva caro a dio e che dio voleva Isacco. Quindi partì con suo figlio per sacrificarlo. Tu sai cosa vuol dire sacrificarlo, Silvio?»
«Sì» disse Silvio, «lui voleva ucciderlo.»
«Però Abramo non voleva, è questo il centro del racconto. Abramo non voleva, si era svegliato felice, ad un tratto qualcosa accade e deve uccidere il proprio figlio…» Così nella vita felice di una famiglia, basta un pomeriggio e una scoperta, e cambia ogni cosa. Tutti si concentrano sul fatto che Abramo deve uccidere il figlio, ma l’importante è che dio gli chieda di ucciderlo. È lì il problema: dio chiede una cosa del genere. Il resto, che Abramo abbia ucciso o meno Isacco (poi non l’ha ucciso), non cambia il fatto che dio abbia deciso questo. Se dio è così, allora forse ha sbagliato qualcosa. Se decide che Abramo deve avere un figlio e poi sacrificarlo, significa che dio è confuso, che ha fatto qualcosa di sbagliato, qualcosa di male. E se l’errore è di dio, vuol dire che la nostra colpa non c’è. Questo non ci toglie il dolore, la vergogna, anzi l’aumenta; non ci toglie il male, che rimane. È possibile che nel concreto io faccia del male a qualcun altro? È possibile che non sia male di per sé, ma diventi male? È possibile che quello che io amo diventi male così male da avvelenarsi?

Demetrio Paolin, Il mio nome è Legione

La peste

Ecco le domande che abbiamo rivolto al fondatore delle Brigate Rosse.
Prima: la sua liberazione dal carcere fu una delle azioni più spettacolari degli anni di piombo. Mi sono convinto che in realtà Mara Cagol non l’ha liberata per amore, ma per violenza. Un po’ come successe a Cristo: quando venne arrestato nell’orto degli Ulivi, Pietro sguainò la spada…
Seconda: Stando a molti, le Br nacquero dall’incontro della sinistra oltranzista e dell’ala più radicale del cristianesimo militante. Voi volevate liberare i poveri, ma Gesù ha detto Beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli. Se voi liberate i poveri, il regno dei cieli non verrà. Se i poveri diventano ricchi, diventano qualcosa di peggio, perché il loro guadagno è già in questo mondo. Il Male è necessario perché avvenga la redenzione. Se voi lo togliete a cosa serve dio? Bisogna che il Male rimanga tale, che non venga modificato; bisogna che la gente soffra, s’ammali, muoia, uccida e venga uccisa, proprio perché così è possibile che alla fine dei tempi dio si mostri.
Un bambino nasce e sembra normale, poi si scopre che ha una malformazione: è giusto che l’abbia, è normale che l’abbia, perché è segno che questa vita, la mia la sua quella di questo ipotetico bambino, non è per niente salva. Come possiamo amare qualcosa che è già salvo? Come possiamo amare qualcosa che non sia imperfetto, fragile e perduto? Si ama solo ciò che è male, solo ciò che è toccato dal male, nella speranza che l’amore redima e tolga. È una speranza, è vana e ci costringe ad amare qualcosa in continua agonia. Lei invece, ritornando all’esempio, vuole guarire effettivamente il bambino della sua deformità. Ma se il bambino è sano, è inutile amarlo.
Ecco, le domande sono senza risposta, perché Curcio non ha voluto rispondere. I padri, chiunque essi siano, non parlano. Sono le nostre sfingi e se ne vanno (chi inghiottito dalla massa, chi rifugiandosi nel bricolage da cantina) rigorosamente mute. Ma noi non faremo come Edipo. Lo liberiamo e ci liberiamo, qui e ora, di ogni accusa di colpevolezza nei confronti del padre e della madre. Rispondendo da soli alla domanda delle sfingi, abbiamo liberato la città. Nella città liberata si è prodotta la peste. E di questo, davvero, noi non abbiamo colpa.

Demetrio Paolin, Il mio nome è Legione