Ecco fera faccia di Gwar n.6

Che vi sia della vanità nell’obbedienza è cosa che finalmente oggi non lo turba. Ne ha avuto paura in passato; pensava: se la mia obbedienza contiene una briciola di orgoglio, di presunzione etica ed estetica, ecco che tutto cade ed essa nulla vale. Ma ha poi pensato quanto sarebbe presuntuoso e veramente un autoinganno pretendere e fingere e credere di ottenere da se stessi un’obbedienza priva di qualsiasi misura d’orgoglio. Sorride. C’è il sole, ma non è importante.

Ecco fera faccia di Gwar n.5

Come ogni volta che la notte gli vien tonda dal nervoso, alle sei del mattino gli occhi lucidati dalla veglia fissano luminosità impossibili e le cuffie gli scaricano dentro al cervello un flusso di electrofunk, senza soluzione, a volume disumano.

Ecco fera faccia di Gwar n.4

Pur essendosi autoescluso per non sentirsi più escluso, c’è ancora chi lo stana appositamente per escluderlo. Un telefono gli vomita addosso paccottiglia sociale su sue presunte colpe e libertà e fortune* che ha già discusso troppe volte per ritenerle solamente errori concettuali e non anche e soprattutto, chi le declama, un gendarme ideologico del sistema. Goebbels ha vinto la guerra, pensa, e non fa prigionieri, pensa. Per punirsi va a letto senza colazione meditando la considerazione di Simone Weil:
«Spesso, in quello stato, ho ceduto almeno alla tentazione di dire parole che potessero offendere. Obbedienza alla pesantezza. Il massimo peccato. Si corrompe così la funzione del linguaggio, che è quella di esprimere i rapporti fra le cose».

*in italiano nel testo

Ecco fera faccia di Gwar n.3

Si sveglia tardi, ma tutto sommato di mattina e dopo aver dormito di notte. La cucina è una devastazione, il frigo è completamente vuoto, sul letto dormono da giorni accanto a lui decine di libri, il caos regna ovunque. Prende su la maglietta dalla quale si alza una nube di polvere. Comincia a ricostruire la sua casa. Dice che sarà l’estate più bella della sua vita.

Ecco fera faccia di Gwar n.1

Rinuncia a un sonno cristiano e con autoriprovazione si abitua a dormire dalle otto del mattino alle tre del pomeriggio. Dopo aver letto qualche pagina di Lem si addormenta. Sogna di aver comperato cimeli da una trasmissione che si occupa di misteri ed evidentemente anche di televendita: nello specifico ha acquistato i cadaveri di storici assasini seriali tra i quali un tizio considerato un vero uomo lupo. Ne ha appoggiati un po’ a casa dei suoi, riempendo il salotto con una valigia contenente i resti della Cianciulli e due barelle coperte di rozzi plaid, una delle due recante il corpo imbalsamato di Pacciani. Un po’ di altri cimeli ne ha a casa sua. Sua madre è contrariata, trova tutto questo di pessimo gusto (questo, attraverso una catena di concetti mediata dall’aggettivo infelice, gli ricorda che nell’horror giapponese una mancata sepoltura spinge spettri a tormentare); suo padre vorrebbe sembrare razionale, ma non sfugge la sua spaventata perplessità di fronte all’acquisto, e gli domanda, in ogni caso, se abbia tenuto le ricevute, qualora si manifestassero accuse di illecito possesso. Lui ci pensa, effettivamente non ricorda, gli pare proprio di no. Aggiunge però che il Signor Carlo Lucarelli è persona perbene e, qualora si presentassero problemi, non mancherà di testimoniare il regolare acquisto. Per sottolineare la sua sicurezza sorride sornione e batte una mano sulla valigia della Cianciulli (sollevandosi assieme alla polvere, l’horror giapponese aleggia nuovamente). In silenzio, mesto, considera che sarebbe bene liberare casa dei suoi – e al più presto possibile – da quell’insepolta compagine, anzi: pensa che mai avrebbe dovuto portarcela. Tuttavia non ha altro spazio, il danno ormai lo ha fatto: ne piange. Si sveglia. Legge Lem.