Un’immagine del bene

(Questo post è fatto con le note a piè di pagina dell’ultimo episodio della Società dello Spettacaaargh!, al solito, su Scrittori Precari)

Quando vivi in una roccaforte così rocca e così forte, fai pensieri sul PD che probabilmente nessuno altrove farebbe. Ti domandi come guarderesti a tutto ciò se fosse il tuo partito – che non c’è – a essere una cosa sola con il Comune; ti sfiorano sogni del Novecento, a volte ti domandi se saresti stato integrato, organico, nella Pesaro degli anni Settanta, se in fondo, in quell’ottica, la sovrapposizione tra Comune e Partito fosse coerente, sensata – Pesaro è un luogo dello spirito, si diceva allora; ti domandi se non sia questo il tuo partito e tu stia solo ponendo un’irrazionale resistenza (sei un fondamentalista! fondamentalista!), e chiami sovrastrutture ciò che da dentro chiameresti narrazioni, chiami deriva, dominio della tecnica, apparato impolitico, vuoto ideologico, macchina che si autoproduce ciò che un sensato leninismo chiamerebbe necessità storica e che gli immancabili delle Feste dell’Unità chiamano semplicemente il Partito, e lo votano da sessant’anni così come i cattolici vanno alla messa la domenica.

Immerso nei riduzionismi di pro e contro, centro e destra, schiamazzi e vita, negozi, viabilità, riqualificazione, ti rendi conto che non esiste, a Pesaro, un soggetto plurale, di sinistra, in grado di analizzare ciò che accade qui, sia tutto l’anno sia in questi giorni, in termini di egemonia, di comunicazione, di battaglia per nominare le cose. Pensi che per farlo ci vorrebbero i comunisti, e ti viene quasi da ridere per il cortocircuito: è proprio quella tradizione culturale a essersi annientata in questa tendopoli e in discorsi, proferiti innocentemente, che potrebbero uscire quasi uguali dalle bocche di Berlusconi e Calderoli; intanto emergono nuovi soggetti che vorrebbero prendere il posto di ciò che era il Partito, senza averne le radici. Sul Festival della Felicità, voluto a giugno dal presidente provinciale, ho ascoltato una sola critica, da parte di un giovane esponente di SEL, ed era: spreco di denaro pubblico.
Vorrei esprimere un pensiero molto scomodo, ma che da qua, da dove sono, sorge con chiarezza: a differenza di altri problemi, questo specifico problema del PD non nasce dal ceppo cattolico, ma dal ceppo comunista: la Festa dell’Unità si è mangiata tutto, il pragmatismo – non il cristianesimo sociale, che almeno, se in qualche cattolico sopravvive, riesce a immaginare un altro mondo – è ciò che avvicina il PD alla Lega, ed è la morte del bello, bello che, ne sono ancora convinto, è un’immagine del bene. Da tutt’altra regione mentale, quella nobile del materialismo, che nella sua forma più elevata è un pensiero implicitamente anti-idolatrico e rispettoso della trascendenza, degradandosi attraverso il pragmatismo, il Partito è giunto al medesimo risultato di quegli altri: lo squallore. Lo fa con i suoi modi, con la sua storia, da una diversa prospettiva, ma ciò che scambia per l’Essere è la stessa cosa: lo squallore. Ciò va di pari passo alla trasformazione dell’amore per il popolo in populismo. Spesso trovo indisponente l’espressione PD meno L, perché è l’espressione di un pensiero che di quella storia e di quel percorso, di quello specifico modo di arrivarci, non ha nozione e non vuole averne; ma a un livello ancora più profondo essa è vera, e si accompagna alla sensazione che certi centri di gravità possano attrarre a distanza, trasformare a distanza ogni storia, cultura e pensiero in una rampa di lancio per raggiungerli.