Dimanche

F. W. J. Schelling

Dio ha in sé un fondamento intimo della sua esistenza che, in quanto tale, lo precede come esistente; ma Dio è a sua volta il Prius del fondamento, in quanto il fondamento, anche come tale, non potrebbe essere, se Dio non esistesse actu.
Alla medesima distinzione conduce una veduta che parta dalle cose.
 Prima di tutto bisogna mettere interamente da parte il concetto di immanenza, in quanto con esso si deve esprimere un’inerte comprensione delle 
cose in Dio. Noi pensiamo piuttosto che il concetto del divenire sia l’unico adeguato alla natura delle cose. Ma esse non possono divenire in Dio, considerato assolutamente, poiché esse sono diverse da lui toto genere o, per parlare più giustamente, sono da lui infinitamente diverse. Per essere separate da Dio, esse devono divenire in un fondamento diverso da lui. Ma poiché nulla può essere fuori di Dio, questa contraddizione si può risolvere solo così, che le cose hanno il loro fondamento in ciò che in Dio non è Lui stesso, vale a dire in ciò che è il fondamento della sua esistenza.

Se vogliamo rendere questo essere umanamente più comprensibile, possiamo dire che esso è il desiderio, che prova l’eterno Uno, di generare se stesso. Esso non è lo stesso Uno, ma è coeterno con lui. Vuol generare Dio, cioè l’imperscrutabile unità, ma in quanto in se stesso non è ancora quest’unità. Perciò, considerato in se stesso, esso è anche volere: ma un volere nel quale non c’è intelletto, e quindi non un volere per se stante e perfetto, in quanto l’intelletto è propriamente il volere nel volere. Tuttavia esso è un volere dell’intelletto, cioè desiderio e appetito di esso; non un cosciente, ma un presago volere, il cui presagio è l’intelletto. Noi parliamo dell’essere del desiderio considerato in sé e per sé, che deve ben venire preso in considerazione, sebbene da lungo tempo sia stato soppiantato dall’essere più alto, che si è elevato da esso, e quantunque non lo possiamo concepire sensibilmente, ma soltanto con lo spirito e il pensiero. Vale a dire: secondo l’eterno atto dell’autorivelazione, tutto nel mondo, come noi ora lo consideriamo, è regola, ordine e forma: ma tuttavia sussiste sempre nel fondo l’irregolare, come se potesse tutt’a un tratto ricomparire, e in nessun luogo si trova che l’ordine e la forma siano la condizione originaria, ma dovunque le cose appaiono come se una condizione originariamente priva di regola sia stata portata verso l’ordine. Questa è nelle cose l’inafferrabile base della realtà, il residuo che non scompare mai, cioè che, per quanti sforzi si facciano, non si lascia mai risolvere in intelletto, ma rimane sempre nel fondo. Da questo irrazionale è nato l’intelletto in senso proprio. Senza quest’oscurità antecedente, la creatura non ha alcuna realtà: la tenebra è il suo retaggio necessario. Dio solo — che è l’esistente medesimo — abita nella pura luce, poiché egli solo è per se stesso. La presunzione dell’uomo si ribella contro quest’origine, e ne adduce persino motivi morali. Tuttavia non sapremmo che cos’altro potrebbe spingere l’uomo con tutte le sue forze verso la luce, più che la coscienza della profonda notte dalla quale egli è stato tratto all’esistenza. […] Ogni nascita è nascita dall’oscurità alla luce: il seme deve essere nascosto nella terra e morire nelle tenebre affinché una più bella e luminosa forma si innalzi e si dispieghi ai raggi del sole. L’uomo vien concepito nel ventre materno; e solo dal buio dell’irrazionale (dal sentimento, dall’aspirazione, splendida madre della conoscenza) si destano i luminosi pensieri. Così dunque dobbiamo rappresentarci il desiderio originario, come dirigentesi verso l’intelletto, che ancor non conosce, così come noi col desiderio aspiriamo a un bene sconosciuto e senza nome, e che si muove presago, come un mare agitato e ondeggiante, simile alla materia di Platone, secondo una legge oscura e incerta, incapace, per sé, di produrre qualcosa di duraturo.
Ma corrispondente al desiderio, che, come fondamento ancora oscuro è il primo moto dell’esistenza divina, si produce in Dio stesso una interna rappresentazione riflessa, per la quale, non potendo essa avere nessun altro oggetto all’infuori di Dio, Dio si contempla in immagine. Questa rappresentazione è il Primo in cui Dio, considerato assolutamente, si realizza, sebbene soltanto in se stesso; essa è in origine presso Dio, ed è Dio stesso generato in Dio. Questa rappresentazione al tempo stesso è intelletto — la parola di quel desiderio — e l’eterno spirito, che sente in sé il verbo e al tempo stesso l’infinito desiderio — mosso dall’amore, che è egli stesso — esprime il verbo, sicché ora l’intelletto, insieme al desiderio, diviene volere libero e onnipotente, e produce nella natura originariamente priva di regola, come nel suo elemento o strumento. Il primo effetto dell’intelletto in essa è la separazione delle forze, poiché solo in questo modo esso può dispiegare l’unità che in essa inconsciamente, ma necessariamente è contenuta, come in un seme, così come nell’uomo, nel desiderio oscuro di produrre qualcosa, si apre la luce quando nel caotico ammasso dei pensieri, tutti legati tra loro, ma che si impediscono l’un l’altro di affiorare, i pensieri si separano, e sorge l’unità che era nascosta nel fondamento e li comprende tutti in sé; oppure come nella pianta solo attraverso lo spiegamento e la espansione delle forze si libera il vincolo oscuro della gravità e si sviluppa l’unità nascosta nella materia separata. Infatti, poiché questo essere (la natura originaria) non è altro che l’eterno fondamento dell’esistenza di Dio, esso deve contenere in sé, per quanto nascosta, l’essenza di Dio, come una scintilla di vita che brilla nel profondo buio. Ma il desiderio, eccitato dall’intelletto, aspira ormai a conservare in sé la scintilla di vita che ha in sé racchiusa, e a raccogliersi in se stesso, per rimanere sempre come fondamento. Quando dunque l’intelletto, ossia la luce posta nella natura originaria, spinge il desiderio che in sé si ritrae alla separazione delle forze (all’abbandono dell’oscurità) e appunto in questa separazione sorge l’unità compresa nel distinto, la nascosta scintilla di luce, per questa via nasce per la prima volta qualcosa di comprensibile e di singolo, e non per una conformazione esterna, ma perché dall’interno si produce la forma, giacché ciò che sorge nella natura viene formato dal di dentro o, ancor più esattamente, viene risvegliato, facendo l’intelletto sorgere nel fondamento distinto l’unità nascosta, ossia l’idea. Le forze separate in questa distinzione (ma non completamente staccate) sono la materia, da cui poi si configura il corpo: mentre il legame vivente che sorge nella distinzione, cioè dal profondo del fondamento naturale, come centro delle forze, è l’anima. Poiché l’intelletto originario trae l’anima come principio interiore da un fondamento indipendente da sé, l’anima rimane per ciò stesso dipendente da lui, come un essere particolare e per se stante.

F. W. J. Schelling, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi.
Traduzione di Susanna Drago Del Boca.