L’amor che move l’analfabetismo

Goya, Piccoli giganti, 1791
Francisco Goya, Piccoli giganti, 1791

Ciò che non mi convince, in certi discorsi che sento sull’editoria a pagamento, è il riferimento all’ingiustizia del trattamento riservato all’autore, al raggiro, allo sfruttamento di un sogno. Mi domando: raggiro di chi? E soprattutto: che tipo di sogno?
È il cuore che muove la conoscenza, dice Scheler: quanto più mi sta a cuore una cosa, tanto più la conosco, e non solo nel senso che l’amore rende il mio sguardo più fine, ma anche, nel senso più banale, che, se un argomento mi interessa, di quell’argomento mi interesso. Chiunque – non bravo, bravo, geniale – ami la letteratura può entrare oggi in contatto con decine di blog che di letteratura trattano, e, se la letteratura gli interessa davvero, lo fa. Allora non ci vorrà molto a capire, data la mole di post sul soggetto, come funziona l’editoria a pagamento, e che non è etica, non ti promuovono, non ti fanno l’editing, poi c’hai uno stigma sociale quindi non ti conviene, è un raggiro etcetera.
Raggiro. Va bene: raggiro. Rispetto questi discorsi perché so che sono a loro volta mossi dal rispetto per le persone, ma non riesco a non vedervi l’ennesimo esempio di riduzionismo della sfera etica alla legalità, di ciò che è giusto o bello a ciò che è legalmente lecito, una riduzione che infine si ribalta in una difesa del diritto del lavoratore/consumatore (l’autore a pagamento sembra essere insieme consumatore e lavoratore in modo curioso). Questo atteggiamento di riduzione, che non si manifesta nei confronti delle case editrici a pagamento, le quali vengono stigmatizzate anche se si muovono nella legalità, tende a non considerare l’aspetto più imbarazzante della situazione di chi con le case editrici a pagamento pubblica. Certo, ognuno è libero di fare quello che gli pare nei limiti consentiti dalla legge, e grazie al cielo, ma non è detto che tutto ciò che è consentito dalla legge sia bello. E magari sta lì a dirci qualcosa.


Il sogno. Qual è il sogno dello scrittore a pagamento? Diffondere le cose che scrive? Chiunque scriva, scrive perché qualcuno legga; ma se l’argomento della diffusione poteva tenere – e a mio sentire non teneva – fino a dieci anni fa, oggi se vuoi diffondere le cose che scrivi puoi aprire un blog; tanto più che se hai letto la mole di post inerenti all’editoria a pagamento, sai anche: primo, che la rete è con ogni probabilità un mezzo di diffusione più efficace; secondo, che aver pubblicato con una casa editrice a pagamento non sarà un buon biglietto da visita.
Ma se uno non conosce la rete, dice, non sa dell’esistenza dei blog e non ha mai letto dei post sull’editoria a pagamento. In tal caso si torni su alla questione amore per la letteratura; in caso contrario si prosegua.
Sì, però, il blog non è la stessa cosa: vuoi mettere il libro? Ecco, il nodo sta tutto qui: vuoi mettere il libro.
Il sogno dell’autore a pagamento è il libro. Ma in che senso il sogno dell’autore a pagamento è il libro?
Il libro è l’oggetto prodotto dall’artista, dall’intellettuale.
Ma il sogno è il libro come riconoscimento, valorizzazione e fioritura di una ricerca artigianale, sentimentale, intellettuale, umana, oppure il sogno è il libro come feticcio, come patente (comprata) di artista, di intellettuale?
Come si declinano qui i termini artista, intellettuale, scrittore? In quale cultura? In una cultura che riconosce all’artigianato e al lavoro intellettuale una dignità sulla base dello sforzo profuso e del valore del risultato? O piuttosto in una cultura in cui la bellezza del libro non è data da ciò che c’è dentro al libro, ma, al contrario, ciò che c’è dentro al libro acquista autorità sulla base del fatto che sta in un libro, e presumibilmente autorità e statura acquista il nome che sta in copertina? In una cultura che ha familiarità con la cultura o piuttosto in una cultura che pone la cultura a distanza, nella quale “la Cultura” è la griffe degli analfabeti, nella quale pubblicare un libro equivale a vantare un titolo nobiliare?
Con una tremenda contraddizione, un fraintendimento totale: l’idea che i titoli nobiliari restino tali quando li si compra.
Quanto è distante da qui il disprezzo per la cultura?
E l’amore per la letteratura? Non pervenuto. Ma ho il sospetto che, dando un’occhiata a qualche profilo blog o facebook di autori a pagamento, potrebbe capitare di leggere “Amo i libri”.

(Continua, in modo diverso, qui)