Immersioni

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Stanislaw lem

«Che?… » mormorò Rohan con voce tremante, quasi trattenendo il respiro. Nel gergo degli equipaggi quell’apparecchio era soprannominato stetoscopio dei sepolcri. Nei casi di morte recente, o quando, come ora, non c’era stata decomposizione del corpo, era possibile ascoltare il cervello, o meglio ciò che rappresentava l’ultimo contenuto della coscienza.
L’apparecchio lanciava in profondità nel cranio degli impulsi elettrici, questi percorrevano il cervello secondo le linee di minor resistenza, muovendosi lungo quelle fibre nervose che, prima dell’agonia, avevano costituito una entità funzionale. I risultati non erano mai totalmente sicuri, ma si diceva che talvolta le informazioni ottenute fossero di un’eccezionale importanza. Nei casi come questo, in cui l’avvenire dipendeva dalla spiegazione del mistero del Condor, l’uso dello stetoscopio dei sepolcri era doveroso. Rohan aveva già supposto che il neurologo in realtà non aveva mai contato sulla possibilità di far rivivere l’uomo, ma era venuto soltanto per udire ciò che quel cervello avrebbe potuto comunicargli. Era in piedi, immobile, col cuore che batteva e la bocca stranamente inaridita, quando Sax gli porse il secondo ricevitore. Se questo gesto non fosse stato così naturale e semplice, lui non avrebbe mai osato mettersi la cuffia auricolare. Ma fu incoraggiato dallo sguardo calmo del dottor Sax, che stava inginocchiato presso l’apparecchio e girava il pulsante di amplificazione, a piccoli scatti.

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