Risposta al secondo luogo del nulla

di Stefano Sanchini

Stefano Sanchini è stato redattore della rivista di poesia e realtà “La Gru”, sue poesie sono apparse in diverse antologie e riviste, ha pubblicato: Interrail (Fara, 2007), Via del Carnocchio (Thauma, 2010), Corrispondenze ai margini dell’Occidente (Effigie, 2011) e La casa del filo di paglia (Sigismundus 2013).

Qui c’è il secondo luogo del nulla.
Qui invece il primo, e qui il terzo.

Caro fratello del cosmo, qui sulla Terra siamo nel pianeta a quattro dimensioni, poiché tre sono nello spazio e la quarta dimensione è il tempo. Il tempo che corre verso chi sa quale direzione, ma che ormai sappiamo in accelerazione come le innovazioni, che tenderanno ad essere infinite nel millesimo di secondo. Dunque ci ritroviamo a rincorrerlo con tutte le nostre degenerazioni, in questa follia in noi e in ciò che ci è intorno, ma prima che Cronos divori tutto questo, restano dei segni e delle rovine ancora da codificare e forse questo è il modo per ritrovare La Via che ci permette di uscire dal collasso ed essere, come l’essere che è all’origine. Come la teoria del racconto in cui sviluppata la storia, si finisce ritornando al suo inizio, è senz’altro a questo punto che si trova la storia dell’umanità in questo momento. Si chiude qui un ciclo di 26000 anni, finisce l’era del ferro e il Kalijuga. Rileggendo così la tua mappa astrale dei non luoghi, le cose mi si svelano più chiare. Ripercorrendo infatti la linea da te tracciata, dalla vela anti-materia dell’Ipercoop fino al campus, nel quale ora ti vedo seduto ad osservare quella vela che ti osserva, come un iper-poliziotto con due o, due occhi, che ti controlla nel tuo fermarti e prendere tempo, il mercato che crolla eppure controlla. Come vedi è spiazzato, cioè senza piazza, è sotto shock, non sa quale sia il tuo desiderio, non può più venderti la sua anti-materia.

Quel campus che un tempo fu un tempio che immaginava fiorire cervella di cultura, è divenuto la frammentazione di un sapere, tante nozioni come granelli di sabbia a desertificare menti. Utile per quiz statali e televisivi, utile al controllo degli individui.
Perché ci hanno tolto l’Alchimia, ci hanno nascosto la Cabala, perché nessuno ci ha insegnato a fare esercizi di respirazione, insomma chi osserva l’osservatore? L’io che guarda e osserva fuori di sé, e non vede più dentro di sé per la troppa vicinanza, è intento a naufragare di pensieri e analisi dentro la mente.
Proseguendo la tua linea si arriva alle Cinque Torri, ai cinque spinotti per la presa aliena, questo è il punto in cui converge un’altra retta formando un angolo di 60 gradi e che tale acutezza concentri in quel punto energie, uniche e che permettono spostamenti in altre galassie. Come sempre quando una grande civiltà scompare, quelle che ne seguono mantengono alcune delle intuizioni della precedente, ma rendendole ordinarie e perdendone il segreto, così l’inciviltà decadente chiamò quella retta interquartieri. Quell’inciviltà decadente nominò l’interquartieri con nomi di persone che riteneva memorabili e d’esempio, via Sandro Pertini e via Papa Giovanni Paolo II, ma la spiritualità dell’antica e grande civiltà ormai era scomparsa e a quei nomi non seguì l’ascesa aspirata, ma una decadenza totale e a picco verso l’abisso. Uno sprofondamento. Ora percorrendo l’interquartieri puoi vedere parallelamente ad essa l’autostrada, la strada in cui l’inciviltà decadente, trasportava le merci del pianeta su gomma, ti sembra ancora di vedere quei camion in movimento, in realtà sei tu che ti stai muovendo, poiché quelle sono immagini fisse, impresse lì da un’esplosione atomica mille volte maggiore a quella di Hiroshima, in cui per qualche minuto rimasero le ombre degli annientati. Siamo ora su quel Foglia in cui nel ’78 Volponi, aveva presagito quella catastrofe, nel Pianeta Irritabile aveva compreso che il cosmo non poteva accettare il nostro sviluppo senza progresso. Quello sviluppo che quando asfaltò la strada Panamericana, non si accorse nemmeno di passare sopra i disegni di Nazca, che dall’antichità continuavano a conversare sapientemente con l’Universo. Oggi non ci sono più nemmeno il babbuino, l’elefante e il nano, scomparsi questi unici superstiti, è succeduta l’era dei ratti che trascorrono la loro esistenza, in orgie e nutrendosi l’uno dell’altro, in un cannibalismo spietato.
Questa retta giunge ad un altro punto: l’Iperossini, l’universo parallelo dell’Ipercoop. Stesse persone si muovono all’interno con identici movimenti, uguali desideri simili nell’abbigliamento, sedotti dalle stesse offerte e da pubblicità non tanto astute. Macchine che nel moto permettono l’esistenza di una macchina più grande, che le racchiude come fossero soltanto degli ingranaggi. Ma la rossini non è solo una pizzetta con maionese e uovo sodo, che sembra piacere solo alle persone di queste terre come un substrato-gastronomico, ma è un occhio che ti guarda. Rossini è anche il musicista, che la città nasconde dentro la casa in cui si conservano le note, probabilmente la grande civiltà aveva così chiamato questo luogo per le vibrazioni della musica che permettono il teletrasporto, come d’altronde Gioacchino fu teletrasportato da Pesaro a Parigi.
Dietro all’Iperossini c’è un’astronave arrugginita ferma da millenni e non riconosciuta dall’inciviltà decadente, fu utilizzata per fare rimbalzare sfere, o meglio con linguaggio appropriato e decadente, palle, che uomini rincorrono sbattono e cercano di rubarsele mentre altri dagli spalti li osservano con il massimo interesse, poi rimangono sospesi identificandosi con quelle palle lanciate in aria, che infilandosi in una retina sublimano il complesso orgasmo della propria impotenza.
Nel punto in cui si trova l’Iperossini si forma un altro angolo di 60 gradi con un’altra retta, che l’inciviltà decadente chiamò via Gagarin, dall’astronauta russo,  anche questa volta superstiziosi, pensavano di risollevare la propria sorte attraverso una conoscenza superficiale ed errata della nomenclatura e dei battesimi.
Se un qualsiasi uomo di qualsiasi parte del mondo, a sua insaputa venisse portato in questa via bendato, tolta la benda non saprebbe dire in che posto egli si trovi, e se gli fosse svelato, che si trova in Italia, quel qualsiasi uomo non vi crederebbe, tanto omologante è qui l’architettura quanto i nomi dei negozi intorno.
Ma passando velocemente per il portale costituito dalle due torri d’avorio vuote, di nuovo sopra il Foglia, si ritorna all’Ipercoop.
Quindi avendo due angoli di 60 gradi, sappiamo che certamente il triangolo formato da Ipercoop, Cinque Torri o spinotto alieno e Iperossini formano un triangolo equilatero, doveva essere questo un luogo di energie per la ricerca del sé, un luogo di contatto tra l’Assoluto e l’Essere interiore, il triangolo in cui Dio si specchiava.
Piazzale Lazzarini era il porto in cui sostare e prepararsi per il viaggio, proprio davanti al teatro Rossini dove ci si liberava dalle maschere della propria personalità, il nome del piazzale rievoca anche il passo biblico in cui Lazzaro fu risuscitato, Cristo non risvegliò un defunto ma un morto nell’anima, un dormiente, “Alzati e cammina” esci dalla macchina che sei e divieni uomo.
L’iniziazione; nel centro di quella piazza c’è una fontana e sotto dei cunicoli, testimoni di un antico esoterismo perduto.
Oggi deambulano i dormienti che non sanno dove vanno né perché essi vadano e di certo non credono a queste cose, ma prendono per vera qualsiasi sciocchezza.

Qui c’è il secondo luogo del nulla.
Qui invece il primo, e qui il terzo.