Di tutti i libri possibili

Di tutti i mondi possibili

È uscita qualche giorno fa per Effequ l’antologia di saggi, a cura di Silvia Costantino, Di tutti i mondi possibili, che raccoglie e rielabora l’esperienza del Sublime Simposio del Potere. Vale la pena di elencare subito gli interventi, nove in tutto, racchiusi tra la prefazione affidata a Licia Troisi e la postfazione della curatrice, comunque presente tra gli autori: di Edoardo Rialti “L’Essere Cattivo. I volti dell’Oscuro Signore”, di Sergio Vivaldi “Non sai niente, Jon Snow. Il barbaro e l’incontro con l’altro”, di Francesco D’Isa (sua anche la copertina) “Le sentinelle siamo noi. Per una rivalutazione dell’uomo comune nel fantastico”, di Vanni Santoni “Party fantastici. Il gruppo degli eroi”, di Matteo Strukul “Ragazze di fuoco. Una prospettiva al femminile”, di Francesca Matteoni “Domestici ma non addomesticabili. Fenomenologia dei folletti per principianti”, di Giovanni De Feo “L’Altrove. Sui luoghi del fantastico”, di Silvia Costantino “Sulla soglia. Adolescenze e riti di passaggio”, di Vincenzo Marasco “Il segno dell’eroe. Il destino e il filo degli eventi” (chiusura che ho trovato gloriosa).

 

Come noterà chi conosce qualche nome, si tratta di autori versatili, competenti ma smarcabili, maniacalmente precisi ma capaci di ragionare su ampie e diverse dimensioni esorbitando dal mero dato filologico, mantenendo gli occhi sul pop e sul contemporaneo. Fermo restando che – come è logico, e come è giusto – Tolkien rimane il cardine del libro preso nel suo complesso. In ogni caso lo sguardo degli autori è la cifra fondamentale della raccolta: capacità di riflettere e abbastanza riferimenti da saper unire i punti e lasciar emergere la profondità dei temi toccati. Insomma, la sanno lunga, nel senso che il loro sguardo verticale sa partire dall’oggi e scendere molto a fondo nella storia, da Kenshiro e la Marvel a Gilgameš e la mitologia norrena, soffermandosi quando è necessario su varie stazione scelte tra tutto quello che c’è in mezzo, e in definitiva offrendo al lettore indicazioni di ricerca, talvolta doverose e necessarie, talvolta inusuali e sì, altrettanto necessarie (penso in particolar modo alle gerarchie teologiche edificate da Francesco D’Isa e all’indagine sulla composizione del gruppo degli eroi compiuta da Vanni Santoni).
I saggi sono in linea di massima abbastanza brevi e sempre agili; mettono a fuoco un concetto o una figura centrale o apparentemente marginale nel fantastico per poi offrirne una lettura che nella migliore tradizione ne illumini il significato nella nostra mortale esistenza – cosa rappresenta il barbaro rispetto a noi? cosa siamo noi rispetto alle scale di entità che popolano le cosmogonie del fantastico? che rapporto c’è tra l’adolescenza e la morte? quale etica può offrirci l’epica (segnatamente) tolkieniana? ma anche: che connessione c’è tra i folletti e la disabilità?
Di tutti i mondi possibili dunque fa il punto e sistematizza porzioni di immaginario, qualcuna semplice, qualcuna più complessa, tutte sicuramente importanti; restituisce coordinate filologiche, disseppellisce articolazioni concettuali, fornisce a chi legge spunti inattesi e strumenti di base per proseguire in autonomia il percorso eventualmente elettivo; proprio per questo, intendiamoci, non si tratta di un testo che cambierà la storia dell’esegesi del fantastico (anche se tre o quattro passaggi…), si tratta però – fatto non proprio trascurabile, visto che parliamo di un libro – di una lettura dal grado di godibilità altissimo; inoltre è uno di quei testi felici che migliorano la vita del profano e del principiante senza scontentare l’iniziato; infine, è un tassello importante di quella critica italiana delle culture e subculture pop che deve arrivare (o tornare), che anzi sta già arrivando: è un’antologia che, per la combinazione tra retroterra e postura mentale degli autori, argomenti trattati, forma-libro e contesto editoriale, è fondamentale, nel senso letterale del termine.
A questa feconda congiuntura di caratteristiche concorre anche il non-detto: si noterà infatti che tra titolo e sottotitolo non c’è nessun “la filosofia del fantasy” o “pop-qualcosa” o altre locuzioni che accennino – fingendo di aggredirla ma di fatto ribadendola – alla distinzione alto-basso. Né gli autori mai rivendicano le loro scelte critiche: si limitano a fare con naturalezza quel che sanno fare (che poi, anche volendo mantenere la verticale, esistono forse in ambito umanistico strumenti concettuali più bassi degli arnesi da lavoro usati dalla narratologia e dalla filosofia? esiste forse un approccio più profano e logico, più distante dall’aulico?). Vale per Di tutti i mondi possibili ciò che Licia Troisi dice a proposito del fantasy nella prefazione, e, forse ancora più importante, il libro è vicino, nello spirito, alla considerazione personale della narratrice: «la sua capacità di passare di medium in medium, di mescolare ciò che è ‘colto’ con ciò che è popolare, lo rendono la perfetta espressione della società attuale, e un auspicato anello di congiunzione tra la ‘cultura alta’ e quella ‘bassa’, in una divisione che personalmente non condivido, ma che attraversa da almeno cento anni il panorama culturale italiano».