L’altro me (parte terza)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(prima parte, seconda parte).

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Mazinga Z (Toei, 1972)
Mazinga Z (Toei, 1972)

Prospettive della dimensione politica. Prendiamo Mazinga Z (1972). Il nemico ha connotazioni occidentali ed è un nemico contro il quale si schiera un robot fatto di Japanium: il punto di vista qui è nippocentrico. Il Doctor Hell, il nemico di Mazinga Z, è uno scienziato tedesco, che è stato nazista, così come il suo sottoposto Conte Blocken. Nella sua guerra per la conquista del mondo, Hell si serve di mostri meccanici costruiti secondo l’antica tecnologia di Micene, e intende impossessarsi del Japanium per integrarlo nella loro costruzione e renderli invincibili. Al contrario Mazinga Z è un robot costruito a scopo di difesa, perché la tecnologia può essere dio o demone, e la differenza morale qui la fa lo spirito giapponese, cioè il pilota come umanità, testa, ghiandola pineale del robot; su questa linea evolutiva, in Mazinkaiser (2001) Koji dovrà prima di tutto limitare, controllare il robot, e solo allora pilotarlo.

Il dominio della tecnica. In generale – non sempre – non ci troviamo tanto di fronte alla tesi di una natura neutrale della tecnica, il cui risultato dipenderebbe in toto dall’uso che se ne fa: piuttosto l’anime mecha sembra spesso lasciar intendere che la tecnica abbandonata a se stessa tende a prendere il sopravvento, e che l’eroe domina la tecnica nella misura in cui il suo cuore e la sua coscienza sono forti, mentre l’avversario appare anche visivamente dominato dalla tecnica.

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L’altro me (parte seconda)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014:
qui la prima parte.

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Bryking (Kyashan – Tatsunoko, 1973)

La dimensione storico-politica e la dimensione psico-mitica. Vi sono due distinte dimensioni simboliche in azione nel filone dell’animazione robotica degli anni Settanta, e si riverberano l’una sull’altra: una dimensione simbolica sociale, collettiva, storica e politica legata all’immaginario e al significato della Seconda guerra mondiale; e una dimensione simbolica che riguarda la vita mentale, affettiva, personale dell’eroe, il suo conflitto interiore e quello che ho chiamato l’universo psico-mitico o psico-teologico.

La dimensione politica. Prenderò in considerazione prima la dimensione storico-politica: è quella più difficile da snodare, ma cercherò di essere breve perché è anche il piano su cui si è scritto di più, mi pare, e rimando ai lavori di Fabio Bartoli e Marco Pellitteri – ai quali questa serie di post deve moltissimo e sotto molti aspetti; ho altresì un grande debito nei confronti di Marcello Ghilardi, di Gianluca Di Fratta, e della redazione di Anime Asteroid.

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Il sole esausto – Casshern Sins

Il caso di Kyashan è notevole. Se si dimentica, e non è difficile, la rivisitazione del 1993 – il legnosissimo Casshān (Kyashan il mito) – ciò che è accaduto negli ultimi anni al classico della Tatsunoko è eccezionale: nel film La Rinascita di Kazuaki Kiriya e nell’anime Casshern Sins di Mad House, Kyashan diviene di volta in volta il personaggio concettuale dell’autore, un soggetto privilegiato di riflessioni morali, antropologiche, teologiche. Kazuaky Kiriya si scontrava frontalmente con la serie classica, faceva di Kyashan, della sua storia e dei suoi comprimari gli speculari opposti del Kyashan, della storia e dei comprimari della serie classica, e così facendo esprimeva il suo dissenso rispetto alla visione del mondo sottesa alla storia originale; con Casshern Sins siamo apertamente al metadiscorso: Casshern, Friender, Luna e Braiking (mai così meravigliosamente mussoliniano) vivono la vita dei simboli, sono personaggi-concetto ai quali si riferiscono i personaggi-attori che si muovono nel mondo attorno a loro. Dunque, sia nel caso del film sia nel caso della nuova serie, non siamo di fronte a un sequel, ma a un uso libero di figure mitologiche entrate a far parte del patrimonio collettivo, le quali, comunque, funzionano concettualmente al massimo dell’energia solo se ricordate nelle loro incarnazioni precedenti.

Casshern Sins: da quando Casshern ha ucciso Luna (primo stordimento dello spettatore), nel mondo è comparsa la Distruzione, ovvero un processo di deterioramento la cui natura sta a metà tra il fisico e il metafisico. Come effetto dell’avvento della Distruzione è mutata la psicologia dei robot, i quali, prima virtualmente immortali e ora morituri, si considerano vivi, e naturalmente non vogliono morire, il che si risolve in una compulsiva caccia ai robot più deboli, cioè ai pezzi di ricambio, da parte dei robot più attrezzati alla guerra. Ma non è cambiata solo la loro psicologia: i robot, in modo inquietante, cominciano a disgregarsi quando perdono fiducia, convinzione. E appena muoiono, esalando l’ultimo soffio di coscienza, ecco che si polverizzano.

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Il novissimo Kyashan – La rinascita

Stamane a Bologna è partito il future film festival. Alle undici di ‘sta mattina sono andato a vedermi La Rinascita, il discusso film tratto dalla mitica serie Kyashan. Il film verrà riproiettato questa stessa sera alle 23.00 al Capitol. Tecnicamente degustibus: se vi piacciono i video dei Prodigy, i videogiochi ultramoderni, i combattimenti dove si capisce poco e la paccottiglia techno-gotico-metallara, bé, allora dovreste andarci assolutamente. Per quel che mi riguarda, le parti migliori sono proprio quelle a musica sparata, dove l’effetto videoclip è almeno portato a estreme conseguenze. Identici restano i nomi dei personaggi e il costume di Kyashan, privo però (simbolicamente?) del casco, che viene distrutto da un’esplosione poco prima della rinascita del nostro. A volte, come nel caso della rivisitazione dei cupissimi scenari da seconda guerra mondiale, l’impatto della tecnologia disponibile restituisce vita all’estetica dell’originale trascinandola al limite; e chi come me ha adorato il cartone apprezzerà soprattutto l’unico combattimento revival tra Kyashan e un plotone di robot, realizzato dannatamente bene, tanto che viene da domandarsi se non era il caso di sfruttare le nuove potenzialità tecniche per girare un remake fedele all’originale. E invece no: il film è volontariamente l’opposto della serie originale: là Tetsuya si sacrificava di sua sponte e rinunciava alla propria umanità facendo di sé l’androide Kyashan, l’unico in grado di combattere gli altri androidi, quelli nazisti, decisi a sterminare il genere umano; diversamente nel film, dove Tetsuya muore in guerra e viene fatto rinascere forzatamente dal padre grazie alla biotecnologia; ancora, nella serie originale gli androidi erano indefinitamente più potenti e soprattutto più cattivi degli umani, i quali sviluppavano al massimo una forma di razzismo nei confronti dei robot (razzismo del quale Kyashan era spesso vittima); nella nuova versione tutti sono fascisti e guerrafondai, tutti sono cattivissimi e potentissimi, e i neo-nati non sono androidi bensì cadaveri rimaneggiati dall’aspetto e dalle motivazioni decisamente umani. Kyashan si risveglia in un mondo nel quale non voleva tornare, con il cuore reso impuro dalla guerra dove ha ucciso ed è stato ucciso, disorientato e incapace di prendere le difese di qualunque parte in causa, se non di quei villaggi i cui abitanti vengono sterminati (dopo essere stati bollati come “terroristi”) dai soldati nevrotici che eseguono entusiasticamente gli ordini più brutali e dei quali lui ha fatto parte nella sua prima vita. E la vita, anzi, la negazione del significato della vita è l’oggetto di critica preferito dagli autori: gli uomini uccidono e rianimano con una facilità di mezzi e una leggerezza d’animo che ha dell’incredibile, mentre è proprio l’unicità della vita a renderla densa di significato e di rispetto, e, circolarmente, è la comprensione di tale unicità che inibisce l’assassinio: in pratica, la tendenza alla rianimazione conduce alla tendenza a uccidere. La sentenza morale finale del film è di un pacifismo psicologicamente violentissimo: esistere genera il male naturale, quello degli altri più che quello interiore, cioè: esistendo non possiamo che fare male agli altri, quindi non-esistere o smettere-di-esistere è la redenzione, o almeno questo è quello che sono riuscito a evincere dal complesso, dato che a tre-quarti del film i sottotitoli sono andati a farsi benedire per riprendere pochi minuti prima del finale, e i dialoghi probabilmente più importanti – compreso il lungo monologo del supercattivo – ce li siamo figurati ascoltando il giapponese. Il pubblico è stato molto comprensivo: se fossi stato un fanatico che ha atteso per più di un anno questa anteprima e me l’avessero seccata così dopo aver intascato i miei sette euri non sarei stato tanto accondiscendente. Auguro agli spettatori delle 23.00 di incorrere in più felice circostanza.