L’equazione negata

Questa recensione è apparsa sul numero 5 di Satisfiction.

Chimamanda Ngozi Adichie, Metà di un sole giallo, Einaudi

Nel 1960 la Nigeria ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna e nel 1967, dopo una serie di scontri tribali, l’etnia igbo intraprese la via della secessione, che culminò nella dichiarazione d’indipendenza del Biafra. La Repubblica del Biafra sopravvisse tre anni: il piccolo stato che secondo i profeti della secessione avrebbe dovuto essere il modello e la guida dell’Africa nera, nel 1970, stremato dalla fame e dalle malattie, orfano di un milione di morti, si arrese all’esercito nigeriano. Chimamanda Ngozi Adichie, stupefacente trentenne al suo secondo romanzo, racconta gli anni sessanta biafrani attraverso le storie di Olanna e Kainene, due sorelle di buona famiglia, una bellissima e l’altra sfuggente, entrambe portatrici di una costanza che ha del sovrumano; dei loro uomini, Odenigbo e Richard, un docente universitario militante e uno scrittore bianco innamorato dell’Africa; e di Ugwu, vero protagonista in incognito: un ragazzo dei villaggi che il caso metterà sulla strada dei libri e della mondanità, una creatura sul crinale di due epoche e di due mondi. Tutti loro sono in misure differenti coinvolti nel clima intellettuale che nutrirà la rivolta biafrana, anche se, immersi nell’ovatta dell’ambiente universitario e delle serate a brandy, dischi di musica high life e discussioni politiche, non sembrano del tutto coscienti di ciò a cui stanno realmente andando incontro. Presi nelle vicende di coppia e paralizzati dalla scoperta delle proprie debolezze e meschinità, talvolta incartati nell’ideologia e forse troppo benestanti per immaginare batoste, vivono la secessione come se le leggi del mondo fossero quelle dei libri: credono nell’avverarsi dei loro ideali politici come ci si attende il risultato di un’equazione, come se la giustizia e la logica fossero la stessa cosa. Ma il sole giallo del Biafra sarà una promessa lasciata a metà: le certezze degli intellettuali militanti saranno travolte dalla brutalità devastante della repressione, e la stessa resistenza biafrana ai “barbari” sarà la guerra di una popolazione spesso incolta e violenta. Olanna non avrà «la sensazione di essere stata sconfitta; ingannata, piuttosto». Lei e gli altri appariranno tanto indifesi e umiliati quanto più sicuri e consapevoli sembravano prima. Perderanno l’aura divina, e diverranno adulti quando saranno troppo presi dai fatti per porsi il problema della propria maturazione.

La testa di lato

Metà di un sole gialloOlanna osservava Odenigbo cantare convinto e provò a imitarlo, ma le parole le si irrancidivano in bocca. Il ginocchio le faceva molto male; prese Baby per mano e rientrò in casa.
Stava facendo il bagno alla piccola quando la sirena dell’allarme partì un’altra volta costringendola a prendere su Baby nuda e a scappare. Per poco la bambina non le scivolò a terra. Il rombo spasmodico degli aerei e il ka-ka-ka secco del fuoco antiaereo arrivavano da sopra e da sotto e dai lati facendole battere i denti. Si buttò nel bunker senza far caso ai grilli.
– Dov’è Odenigbo? – domandò dopo un poco, afferrando Ugwu per un braccio. – Il tuo padrone, dov’è?
– È qui, signora, – rispose Ugwu, guardandosi intorno.
– Odenigbo! – chiamò Olanna. Ma non ottenne risposta. Non ricordava di averlo visto entrare nel bunker. Doveva essere ancora lassù. L’esplosione successiva le mandò in pezzi l’interno dell’orecchio; era sicura che se avesse scosso la testa di lato avrebbe visto cadere brandelli di cartilagine. Si avviò verso l’ingresso del bunker. Alle sue spalle udì Ugwu ripetere: – Signora? Signora? – Una donna che abitava in fondo alla via le disse: – Torni indietro. Dove pensa di andare? Ebe ka I na-efe? – ma lei ignorò entrambi e sgattaiolò fuori del bunker.

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