Facce ride

[…] Uno scrittore che è intervenuto anche nel commentarium, e che è uno dei migliori autori di fantastico italiani, ha chiuso il blog, cancellando tutti i post. E’ GL D’Andrea. E’ stato costretto a farlo da un’ignobile campagna di annichilimento dell’avversario durata mesi, e ancora perdurante. Stesso sistema di certe trasmissioni televisive: con la scusante della satira, aggressione e infamia (fino alla creazione di pagine Internet razziste e omofobe) […]

Così scrive oggi Loredana Lipperini in merito alla chiusura del blog di D’Andrea GL e alle motivazioni che hanno spinto l’autore a prendere questa decisione.
Andando di link in link ho notato che si discute molto, e in generale, del problema del passaggio indebito dalla critica sarcastica dell’opera al sarcasmo sulla persona dell’autore.
Ma, mi domando, il problema sta davvero nell’oltrepassamento della linea di confine che separa la critica sarcastica dell’opera dal sarcasmo sulla persona dell’autore? Oppure si situa già al di qua di quel confine, in qualcosa che ha a che vedere con la critica in sé, o con la non-critica in sé, o con l’ironia o con il sarcasmo o con il dileggio, in qualcosa che riguarda gli equilibri tra ironia e critica, e la differenza tra ironia e sfottò, e la differenza tra critica e sfottò?
Perché io, leggendo questo pezzo di Alessandro Puglisi, qualche domanda me la sto facendo.

La vita dietro le tastiere

Intrattenimento. Questa è la chiave. Noi non siamo scrittori, siamo intrattenitori. “Facce ride”. Siamo i pagliacci seduti sulla vasca piena d’acqua delle fiere americane, devi abbatterli. Non perché puoi, ma perché devi. Ogni nostra riflessione, ogni appello, ogni discorso, che facciamo non è una riflessione, un appello, un discorso, è intrattenimento. E parte INTEGRANTE dell’intrattenimento è rovinare la vita di una NON-persona. Perché l’intrattenitore non è un essere umano, è un’icona, una bambola, un pezzo di plastica.

La massa di persone che si è riversata sul mio blog, ieri, dimostra essenzialmente questo: Facce Ride. Facce passà la giornata.

E io temo, davvero, che questo processo sia irreversibile perché comprende non solo chi calunnia, ma anche chi guarda e sta zitto.

D’Andrea G.L., Mostruosità, nota su Facebook del 19 giugno

 

D’Andrea G.L. chiude il blog.

 

Qui c’è una riflessione di Lara Manni.

Più in basso, poi, in questo stesso post, trovate una nota di Claudia Boscolo, Senza titolo, o meglio, senza parole, che ho creduto fosse bene portare anche fuori da Facebook.

 

Qui, invece, trovate la terza puntata della Società dello spettacaaargh!. Che forse c’entra anche qualcosa.

 

 

Senza titolo, o meglio, senza parole, di Claudia Boscolo

…o meglio ancora, con parole che andrebbero spese perché non cali il silenzio e i fenomeni rimangano inavvertiti, inosservati. Fenomeni che sono invece segni di decadenza laddove dovrebbe esserci apertura e innovazione (parola inquinata dall’operato di un ministro, vero troll morale di questi tempi bui, ma pur sempre ricca di significato).

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Manufatti

Questa recensione è apparsa sul numero 7 di Satisfiction.

Wunderkind di D’Andrea G.L. fa molte cose e le fa bene: dà inizio a una trilogia dipingendo un mondo gotico e fantastico che ti si imprime nella mente, lasciandoti con la voglia di penetrarlo a fondo; di quel mondo ti fa letteralmente vedere le architetture, la terra, i cieli, i colori e persino il bianco e nero; ti fa sentire la pioggia che ti cola addosso, l’umidità che penetra le ossa; crea atmosfere dalla densità soffocante; descrive le paure e le angosce di un adolescente con la serietà e la considerazione riservate di consueto alle paure e alle angosce degli adulti senza trasformare l’adolescente in un adulto, ma anzi rivendicandone la specificità, lasciandolo libero di vivere il suo spleen che confina con l’orrore; solo che qui l’orrore irrompe nella realtà: l’autore lo prende sul serio, l’adolescente; stana l’essenza lugubre degli oggetti come solo gli incubi più disperati riescono a fare; radica l’incantesimo nella nostra forma di vita e, per ogni singola persona, in ciò che ha di più caro e intimo; concretizza fantasie oniriche terrificanti in immagini ad alta precisione; traduce in azioni e archetipi i sentimenti di amore coniugale, filiale, materno, talvolta li stressa; narra la violenza, e la fragilità nella violenza, con lingua eccellente.

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