Un tipo di serata

Un tipo di serata

[Per Torino una sega ho scritto due racconti. Questo è quello che non ho letto.]

Anna si è fermata, si è staccata. Dario la sente respirare nervosa; apre gli occhi: vede il tettuccio dell’auto di Anna; piega la testa in avanti e vede il viso di Anna, immobile, al di là del suo pene: gli sembra che Anna stia fissando lui e non il suo pene; gli sembra che abbia in faccia il colore della luna, ma forse è la luce della luna.
Dario fa: – Che c’è?
Anna fa: – C’è uno.
– Eh?
– C’è uno, c’era uno.
– Dove?
– Fuori, affacciato al finestrino, ci guardava.
– Eh?
– C’era uno che ci stava guardando.
– Uno chi?
Dario guarda l’erezione svaporare mentre cerca di capire cosa ci si aspetta da lui ora.
– Uno, – fa Anna – uno, non so chi. Uno: calvo, gonfio, brutto, con la lingua di fuori, ci guardava: uno.
– Tirati su, – fa Dario.

Si riabbottona i pantaloni, si alza sul sedile reclinabile, perde l’equilibrio e ricade all’indietro, allunga un braccio, si aggrappa alla maniglia del tetto e si rialza; Anna lo guarda come se non riuscisse a capire cosa voglia fare. Dario apre la portiera e mette un piede fuori, poi la testa.
La prima cosa che sente è una risata, un ghignare che non gli sembra del tutto umano, qualcosa di simile alla non risata automatica e impersonale della iena. Guarda a destra: la luna si riflette sulla superficie dell’Adriatico, sigillato oltre la staccionata di legno, un centinaio di metri sotto di loro. Guarda a sinistra: la pianta nuda di un piede grandissimo sparisce dietro la coda dell’auto.
Esce dall’auto. Avverte qualcosa alla mano: la solleva e la vede tremare. Respira. Decide di andare in direzione opposta, verso il cofano, lentamente, fissando il mare. Quelli che provengono ora dall’altro lato dell’auto sono grugniti. Gli viene in mente Abatantuono che parla di maiali mannari, ma forse non era così, forse sta mescolando il somaro mannaro e i maiali setolosi di Attila, ma no, c’era anche il maiallo mannaro: era un altro film? Viulentemente mia, forse? Si domanda perché ci sta pensando in questo momento quando un nuovo grugnito, vicinissimo, seguito da una nuova risata da iena lo gela. Lento ruota la testa a sinistra: ciò che vede al di sopra della sagoma del cofano è la parte posteriore di un corpo nudo, glabro e adiposo in modo anomalo, che muovendosi a quattro zampe sparisce al di là del volume dell’abitacolo.
Dario chiude gli occhi. Inspira, espira. Decide di aggirare di nuovo l’auto in senso opposto, mentre i grugniti e le risate da iena si fanno sempre più forti e ansimanti. Girando attorno alla macchina, attraverso i finestrini e poi il lunotto, scorge Anna in ginocchio sul sedile, di lato, con le mani appoggiate al finestrino e – presumibilmente, dato che non può vederne la testa – lo sguardo rivolto fuori, su qualcosa, su quella cosa che sta là fuori con lui, e che lui sta per vedere, ora, ora che svolta l’ultimo angolo.
E la vede: è una massa nuda, pallida e lucida alla luna; ha una forma che lì per lì Dario non sa decifrare: una creatura a tre zampe, la cui testa, priva di organi, è tutt’uno con le spalle; la creatura grugnisce rivolta verso il boschetto, disinteressandosi di Anna e dell’auto.
Poi Dario capisce: la creatura va letta in senso inverso; è un essere umano, la testa, grande e calva, è dalla parte del finestrino, è rivolta verso Anna; solo che l’uomo non piega le ginocchia: ciò che prima a Dario era parsa la testa, perché è la parte più in alto, è in realtà il bacino; e sembrava avere tre zampe perché si regge davanti sul solo braccio sinistro, ed è solo ora che Dario vede la mano destra, oltre la pancia debordante, masturbare un pene massiccio e duro.
In quel momento l’uomo sembra avvertire la presenza di Dario e si volta verso di lui, lo guarda, smette di grugnire, e la sua fisionomia cambia: la bocca diventa enorme, gli occhi si sgranano, le sopracciglia divengono altissime e, con la mano ancora sul pene, inizia a urlare, un urlo di terrore e dolore, dritto, omogeneo, infinito, che non perde tono, durante il quale, nella testa di Dario, Abatantuono continua a ripetere “maiallo mannaro” “maiallo mannaro” “maiallo mannaro” mentre la coscienza di Dario gira attorno all’immagine che gli occhi di Dario stanno vedendo, gira come qualcosa che gira nel gorgo di un lavandino, fino a che non finisce nel buco, e allora la coscienza di Dario e l’immagine che Dario sta vedendo si congiungono, e Dario capisce che ha afferrato il concetto, e che ormai lo detiene senza tema di perderlo, il concetto che davvero il volto urlante che sta vedendo alla luce della luna è il volto di suo padre, che lo fissa urlando.