Confrontation II

I fatti che andremo a narrare non sono realmente accaduti, ma ciò non toglie che essi potrebbero accadere in quella regione che si trova ai confini della realtà.

– Centro del lavoro, buonasera.
– Buonasera, mi chiamo J. Cercavo il Dottor D.
– In questo momento non c’è, può dire a me?
– Certamente anzi per forza. Vede, io stavo per chiamarvi, per dirvi che avevo trovato un lavoro ma…
– A tempo indeterminato?
– A progetto, ma non è più questo il pun…
– Allora guardi: lei rientra ancora nella disoccupassione, quindi ha diritto…
– Signorina, la prego, mi ascolti. Io dovevo essere da voi quattordici giorni fa, per la rituale visita di conferma del mio stato. Ma mi sono completamente dimenticato.
– Mi faccia controllare… sì, è vero, c’è un richiamo a suo carico. Dovrebbe parlare con il Dottor D.
– Sì, appunto, ma…
– Il Dottor D. però non c’è.
– Ecco, appunto, ma cosa comporta il richiamo?

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Confrontation I

Dove diavolo ho messo il cervello, cristo. Devo averlo lasciato sulla mensola, no, magari sulla stampante, nella tasca della giacca o in quella alta dello zaino, sì, deve essere lì. Mannaggia non c’è. Salterà fuori come al solito attorno alla mezza, quando devo andare a dormire e non ne ho voglia, non ne ho proprio. È che non ho nemmeno gli occhi: avessi gli occhi vedrei dove l’ho messo, il cervello, ma non ce li ho, vedo solo monitor e vedo solo il monitor, non vedo più la gente per la strada, la gente mi saluta e io non so chi sono, non vedo niente. Se almeno trovassi gli occhi, tastando, a tentoni, se almeno li trovassi, forse poi troverei anche il cervello, ma corre tutto così in fretta il pomeriggio, troppo veloce per i pensieri che ho senza il cervello. È che quando alle due mi butto finalmente dentro casa appoggio le chiavi e gli occhi dove poi non mi ricordo di averli messi, il cervello invece se ne va da solo, si prende una vacanza fino alle sei del mattino, e poi ancora un paio d’ore ce le mette. La mattina ci vuole il reggae, una musica sacra, una preghiera affinché l’ipod regga, leggo una pagina di Esiodo sopra l’autobus che non so mai se è quello giusto, perché il cervello si sveglia attorno alle nove. C’è il reggae mentre la nebbia corteggia le colline, c’è il reggae quando la pancia è vuota e l’autobus arriva sempre mezz’ora troppo tardi per salvarmi. Il levare mi culla, una costante ribellione contro il mondo, come diceva Roberto Grandi, una costante, rassegnata e assieme imperitura ribellione contro il mondo, un anelito al ritorno nel ventre della madre. Le opere e i giorni. Il nostro tempo non c’è più. Babylon makes the rules. Schiavi degli schiavi. Non ci passa un attimo.

Io e Cristina

Il luogo

Benché io sappia oramai tantissimo dei problemi sul lavoro che Federico è costretto ogni giorno ad affrontare a causa dell’ormai proverbiale inefficienza di Maurizio, del divorzio malmenato dagli strascichi riservato a Maria Grazia, del matrimonio che sembrava convenire a Nicoletta e che ora la avvilisce ogni giorno di più, di te so poco, anzi pochissimo. Certo: io conosco il tuo aspetto, il biondo dorato dei tuoi capelli, l’abbronzatura che non conosce inverni, il tuo seno generoso, il culo rotondo che ricorda le angurie d’agosto. Conosco il tuo nome, Cristina, e credo anche di sapere che lavoro fai: certamente lavori in un negozio, ché a Pesaro, si sa, i negozi fan giorno di chiusura al lunedì mattina. E ciò io lo deduco da questo fatto: che ogni notte che dalla domenica conduce al lunedì tu puoi trascorrerla predicando lunghi vangeli di parabole, vòlti forse ad insegnare con esempi chissà quale etica pubblica e privata, o – intarsiati come sono di lodi e osanna, di “Diobõ” e “Namadõ” – ad accennare senza nominare chissà quale verità: su tutte queste cose tu istruisci il tuo misterioso interlocutore telefonico. Se dunque, Cristina, per qualche caso fortuito ma gentile ti capita di leggere questo blog, io ti prego: ricordati che dall’altra parte di quel foglio di parete io cerco di dormire.

Svegliami 3

C: -Guarda, te lo dico senza giri di parole: abbiamo preso Luca. Mi spiace.
J: -Luca?!
C: -Luca. È andata così, l’abbiamo già assunto, non prendertela.
J: -Non me la prendo. Però sono sorpreso: Luca è un grafico. Bravo, percarità, ma non riesce a mettere nemmeno gli accenti sulle “è”.
C: -E be’? Mica ci importa che sappia mettere gli accenti sulle “è”: ci importa che sappia tirar su una linea grafica dal niente. Tu ci sai tirar su una linea grafica dal niente?
J: -Ma… ma stavate cercando un editor!
C: -Ah ah ah… Hai ragione.

Svegliami 2

Giorno I

B: -Perché tipo… la F. fa le pulizie. Hai mai provato a chiedere a un’agenzia di quelle che fanno le pulizie?
J: -Sì. Niente.
B: -M. Però la F. dà anche ripetizioni. Hai provato a mettere gli annunci per le ripetizioni?
J: -Sì. Non è andata.
B: -M. La F. con le pulizie al mattino e le ripetizioni al pomeriggio tira su 800 euro al mese.
J: -Buon per lei.
B: -Eh, ma lei si dà da fare.
J: -Più che altro glielo fanno fare.
B: -In ogni caso lei lo fa.
J: -Già.
B: -Ascolta. Ti piacerebbe lavorare nella nostra libreria?
J: -E me lo chiedi?
B: -Indubbiamente tu saresti la persona più adatta per noi.

Giorno II

B: -Eilà. Allora? Rimediato qualcosa?
J: -No.
B: -Ascolta. Ieri non te l’ho detto perché ancora non c’era niente di sicuro. Ma adesso è tutto ufficiale e te lo posso dire.
J: -Dimmi!
B: -Abbiamo preso la F. a lavorare in libreria!
J: -Eh?!
B: -Abbiamo preso la F. a lavorare in libreria!
J: -Eh?!
B: -Poverina, non ce la faceva più: tra le pulizie e le ripetizioni.
J: -"Poverina"?!
B: -Poverina sì! Credi che sia semplice?
J: -O mio dio…
B: -Ts. Tu non ti rendi conto: hai la strada spianata.
J: -O mio dio…
B: -Non te la prendere se te lo dico, ma spesso ti manca il contatto con la vita reale.
J: -O mio…

Il mio regno per una standardizzazione 1 – L’argomento ontologico

-Sono l’operatore per la standardizzazione che hai ordinato.
-Buongiorno.
-Ho dato un’occhiata alla tua cartella, bello mio. Lascia che io ricapitoli la situazione un istante…
-La situazione è drammatica, vero?
-No, non è proprio così. Ti spiegherò perché, ma è importante ricapitolare.
-Bene.
-Dunque, io leggo qui che tu hai una testa da poverino, ma hai quasi sempre e solo studiato, e ormai nemmeno Provenzano ti assume senza una consistente esperienza lavorativa alle spalle.
-Vero.
-D’altro canto non sei stato educato all’intellettualismo snob, e in tutti quei dibattiti sull’arte, la fotografia e il cinema non ci capisci niente.
-Vero.
-Ah ah ah, neanche io… E dimmi, leggo anche che la tua ingenuità ha del subnormale, quindi non si può andare in politica, ché tu mangi solo foglie di radicchio.
-Esatto… E non è forse drammatica una tale situazione?
-Ecco vedi, il punto è proprio questo: non lo è. E questo non è un bene, perché abbiamo qualcosa per le situazioni drammatiche, ogni situazione drammatica è aiutata da ciò che la rende drammatica a non essere più drammatica. Mi capisci?
-Sì.
-Ecco, qui invece è diverso, la tua situazione non è drammatica: sei laureato in una facoltà umanistica ma sei totalmente incapace di parlare di arte fotografia cinema, sai solo obbedire ma nessuno ti assume, la tua mediocrità sarebbe perfetta per la politica ma non sei furbo. Dimmi: tu hai mai visto una persona così a parte te?
-No.
-Ecco. Capisci cosa sto dicendo?
-…
-Sto dicendo che secondo la nostra casistica la tua situazione non esiste. Non ci sono soluzioni per te per il semplice motivo che tu, in quanto caso, non esisti.
-…
-Mi dispiace, ma è così: fattene una ragione.
-…
-…
-Sociale?

All the leaves are brown

All the leaves are brown and the sky is gray. I’ve been for a walk on a winter’s day. I’d be safe and warm if I was in L.A. California dreamin’ on such a winter’s day. Stopped into a church I passed along the way. Oh, I got down on my knees and I pretend to pray. You know the preacher likes the cold, he knows I’m gonna stay. California dreamin’ on such a winter’s day. All the leaves are brown and the sky is gray. I’ve been for a walk on a winter’s day. If I didn’t tell her I could leave today. California dreamin’ on such a winter’s day. California dreamin’ on such a winter’s day. California dreamin’ on such a winter’s day… Hi, my name is Stereo Mike…

Sampling Teobaldi I

Non voleva passare la vita accoppiato con un art director, neanche col più bravo di tutta Milano, perché non avevano pace e non lasciavano aver pace. Saltavano da un capo all’altro dello scibile umano e della storia dell’arte, conosciuta in senso visivo, da uno stile all’altro, come se la parola non significasse e non avesse significato mai molto. I grafici parlavano con le figure. Non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo ma era convinto che il loro peso nel mondo dell’advertising e della comunicazione fosse sproporzionato. L’uomo aveva impiegato secoli, millenni, per passare dai graffiti ai geroglifici e finalmente al logos: e adesso loro nel giro di pochi anni erano riusciti a tornare indietro: al segno, alle figure, e se ne vantavano! Anche se, doveva ammetterlo, la P della Pirelli e la M della metropolitana lo commuovevano sempre: come la F del Caffè Foschi.
Se le cose fossero andate male, avrebbe sempre potuto tornare indietro. Ma le cose non potevano andare male, il mondo della produzione tirava, tutto tirava.

Paolo Teobaldi, Il padre dei nomi

La sindrome di Pointbreak

Nel 2005 il mio amico Monsa pubblicò un pezzo intitolato La sindrome di Pointbreak sul forum di Cami74, nella sezione hip hop pesarese, sezione che oggi non esiste più. Credo sia importante che La sindrome di Pointbreak rimanga a galleggiare nella rete come una bottiglia che, invece di trasportare un messaggio, trasporta la riproduzione in scala di un veliero. Il veliero in scala dentro la bottiglia, infatti, non può portarti da nessuna parte; è un prodotto che nessuno si prenderà la briga di retribuire, realizzato da una forma di vita che, paradossalmente, il mondo ha contribuito a genererare, senza per questo volersi preoccupare delle conseguenze di una tale genesi.
Lunedì il prossimo post.

La sindrome di Pointbreak – di Monsa

Io, Chrystelle e Ippolito facciamo quasi 100 anni in tre e, nonostante io nuoti i 1500 stile libero molto più velocemente di quanto voi possiate immaginare, i miei 31 anni si vedono tutti e quelli di Chrystelle e di Ippolito, forse, ancor di più.

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Are You Experienced?

Tizio: -…e infine abbiamo scelto una persona che ha maturato una maggiore esperienza nel campo.
Jago: -M. Capisco.
Tizio: -Non mi domanda quello che mi domandano tutti?
Jago: -E cioè?
Tizio: -Quello che mi domandano tutti: come fa una persona senza esperienza nel campo a maturare un’esperienza nel campo se vengono assunte solo persone che hanno già maturato un’esperienza nel campo?
Jago: -Immagino che lei mi risponderebbe che questo è effettivamente un paradosso e tuttavia voi non potete permettervi di rischiare. O no?
Tizio: -Lei è molto acuto.
Jago: -No, affatto, ma ho maturato una lunga esperienza nel campo.